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La guerra fredda del gas

La guerra del gas

La fine della guerra fredda non è stata sinonimo di fine degli squilibri tra oriente ed occidente, anzi, a più di vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, la crescita delle potenze dell’est (Cina, Russia  e India) a fronte del progressivo decadimento delle storiche potenze occidentali, paradossalmente, non ha fatto altro che accrescere le divergenze fra i due “blocchi”, in un mondo non più polarizzato. Oggi, uno dei campi di battaglia nella guerra geopolitica è quello dell’approvvigionamento delle fonti energetiche, e il gas naturale rappresenta attualmente la fonte primaria di controllo del potere. Il progressivo allontanamento dalla scena globale e l’annebbiamento dovuto alla sottomissione al governo degli stati Uniti, hanno costretto l’Unione Europea ad avvicinarsi al settore del gas naturale e l’opportunità è arrivata con il progetto Nabucco nato nel 2002, attraverso l’accordo stipulato tra quattro compagnie, l’austriaca OMV, la turca Botas, la Bulgara Bulgargaz e la ungherese MOL.  Il progetto, che avrebbe dovuto essere finanziato per il 50% dall’Europa, è stato ben accolto anche da Washington, in quanto, avrebbe permesso a Bruxelles di rilanciare la propria immagine in Asia e in Medio Oriente e, soprattutto, avrebbe dovuto limitare in occidente le esportazioni di gas russo. Il gasdotto che avrebbe dovuto collegare la Turchia all’Austria con un tragitto di circa 3000 km attraverso Bulgaria, Romania e Ungheria, però non vedrà mai la luce. La decisione è arrivata lo scorso anno, dopo che il consorzio azero di Shah Deniz, giacimento controllato dalla BP, ha scelto come principale corridoio per l’esportazione di gas azero in Unione Europea il TAP (Trans Adriatic Pipeline) anche in conseguenza delle pressioni ricevute dalla Statoil, compagnia norvegese che partecipa al progetto e che possiede il 15,5% del giacimento Shah Deniz.

Il TAP risulta già fallimentare

Il TAP, rappresenta un progetto molto meno competitivo sul piano internazionale rispetto al Nabucco, pur godendo dell’appoggio delle maggiori multinazionali dell’energia. Innanzitutto bisogna ricordare che il TAP garantirà entro il 2020 un flusso di gas pari a 10 cbm annui, contro i 30 del Nabucco, facendo già risultare vani gli obiettivi di Bruxelles di smarcarsi dall’egida russa. Inoltre il suo tragitto di molto inferiore rispetto a quello del Nabucco priverà Paesi come Romania, Bulgheria e Ungheria, riducendo la loro unica fonte di approvvigionamento di gas a quella russa.

La strategia vincente della Russia

La Russia, dal canto suo, non risparmia di certo i colpi, anzi, la messa in funzione del North Stream e del South Stream, potrebbe in poco tempo assicurare a Mosca un ruolo di assoluto monopolio ne campo delle energie. Due i gasdotti: uno già attivo diretto verso il nord Europa, al quale partecipano la russa Gazprom per il 51%, la Ruhrgas, la Wintershal, la N.V. Nederlandse Gasunie e la Gaz de France-Suez; l’altro, i cui lavori dovrebbero concludersi nel 2015, diretto verso il sud Europa, cui partecipano la Gazprom, l’Eni, la francese EDF e la Wintershal. Il South Stream rappresenta un’arma strategica per la Russia anche per un altro motivo: il gasdotto arriverà in Italia dal Mar Nero, bypassando l’Ucraina, aspetto che rappresenta un’ulteriore sconfitta per le politiche europee. Proprio sull’Ucraina è spaccata anche l’Eni, la quale non ha ancora chiarito la propria posizione in merito, potendo anche decidere di passare alla “concorrenza”.

 

Sebastiano Cugnata

 

 

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