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Noi non ci asteniamo (Dossier “pendolari in Provincia di Ragusa”)

Immaginate la scena iniziale di un film sulla seconda guerra mondiale e studenti, come soldati dell’Armata Rossa, dal viso palesemente assonnato all’interno di un freddo vagone diretto a Stalingrado, e, tra loro, un ragazzo dall’aria stanca, il protagonista della nostra storia. Sono le ore 7:20 a Chiaramonte, un manipolo di case appollaiato sugli Iblei. La giornata è  grigia,

La marmitta di un mezzo AST

come le tipiche giornate di febbraio, pioviggina e fa parecchio freddo; il nostro soldato, immobile con il suo zaino e le cuffie sullo spiazzale San Vito, intitolato al santo patrono del paese, aspetta l’autobus che lo porterà come ogni mattina a Ragusa, il capoluogo, dove stanno gran parte delle scuole superiori. Attorno a lui ci sono tanti altri studenti, saranno un centinaio; un autobus è partito già prima, diretto al liceo linguistico.

Dalla salita ecco arrivare una grossa sagoma bianca: il nostro eroe parte già scoraggiato. “Hanno mandato anche stamattina l’autobus più vecchio e malandato dell’AST” pensa fra sé e sé, mentre dalle cuffie ascolta Hendrix. Fa niente, il viaggio è solo di pochi kilometri e l’abbonamento è pur sempre pagato dal Comune.

Salgono i ragazzi su quella dannata carretta. Ovviamente non tutti trovano posto, perché metà dei sedili disponibili sono  bagnati e la sporcizia di quelli in fondo farebbe venire la pelle d’oca a chiunque. Forse sui treni per Stalingrado si stava meglio. Fra i pendolari rimasti in piedi, oggi, c’è anche lui, il nostro soldato. L’autobus scende da Via Gaetano Martino e imbocca, a San Giorgio, la salita della circonvallazione di Chiaramonte, uscendo dal centro abitato. È in questo istante che per i pendolari chiaramontani il tranquillo viaggio giornaliero- lungo i 17 kilometri che li separano da Ragusa-  si trasforma in una vera e propria gara di resistenza. Già, perché conseguentemente alla “tirata” alla quale è costretto il vecchio bus lungo la salita, parecchio fumo di scarico riesce a raggiungere l’interno dell’enorme abitacolo del gigante bianco, l’aria si fa oltremodo pesante, da far girare la testa  e non è difficile notare, tra gli scomparti sporchi in alto e i sedili, un’atmosfera bluastra. Il nostro eroe è li in piedi, aggrappato in maniera fortuita e molto precaria al meccanismo d’apertura della portiera centrale dell’autobus, non avendo trovato appiglio migliore, guarda fisso fuori dal grande finestrino: il cielo è plumbeo, tra gli alberi della pineta.

I tornanti stanno per finire, tra poco l’autobus imboccherà la grossa curva che li condurrà al rettilineo della strada provinciale. Tra gli studenti, sebbene apparentemente pensino  a tutt’altro, lo sguardo d’intesa  è fulmineo, tra tutti corre lo stesso pensiero: “come mai siamo costretti a viaggiare in una situazione simile?”. I problemi non sono finiti, sebbene la lingua di strada che separa il capoluogo dal piccolo paesino è breve, il numero di

Gradini di un mezzo AST

imprevisti nei quali incorrere ogni mattina è molto alto. Lo sventurato bus è ormai in viaggio sul rettilineo della provinciale. Il soldato con lo sguardo sul panorama delle campagne ragusane, tiene una mano in tasca, mentre con l’altra cerca di bilanciare il suo peso ancorandosi ancora al grosso sostegno. La mano in tasca gli da un tocco di stile, un appiglio di dignità.
L’autobus viaggerà sugli 80-90km/h, l’autista fa qual che può per mantenere la velocità costante, sembra non curarsi di quel che avviene alle sue spalle. Anche se conosce benissimo i problemi di affidabilità di quell’affare, non si distrae, c’è parecchio vento e ha la responsabilità di portare tutti sani e salvi a scuola. E come un tuono sente echeggiare dal fondo del veicolo: “Ou, che palle, mi sta ciuviennu arrieri supra a testa!“. Piove dentro, sulla testa di qualcuno. Già, chi viaggia giornalmente con l’Agenzia Siciliana Trasporti  non ci fa più caso, ma spesso si ha la fortuna di poter sentire il rinfrescante potere di una brezza d’aprile anche all’interno dell’autobus; chi può, mette su il cappuccio del  giubbotto per ripararsi dalle gocce che vengono giù dai pannelli superiori. I più spiritosi aprono l’ombrello. Sarà tutta una mossa pianificata dalla direzione, serve a dare colore ed allegria anche alle giornate più grigie, a vivere il viaggio come un’avventura.

Lui, il nostro eroe, ha un sorriso nervoso in volto, dovuto alla scena, ma la situazione non è comica, come la narrazione vorrebbe che apparisse. Intanto, il bestione bianco è nei pressi di Ragusa; “Finalmente!” pensa il giovane pendolare. Ma giusto il tempo di aver superato il Foro Boario, un improvviso rallentamento fa balzare in avanti tutte le teste. Ciascuno cerca di capire cosa è successo, l’autista pigia i freni, si affianca al guardrail, si ferma rassegnato e si gira verso gli studenti: “Picciuotti,” urla, dal sedile di guida verso gli attoniti ragazzi, “amma aspittari l’autru autobus!”. Qualcosa si è rotto, il bus non va. Intimato loro di scendere, i ragazzi- parecchio infreddoliti ed esausti già alle 7 e 45- aspettano silenti l’autobus successivo, che non tarda ad arrivare.
C’è trepidazione all’arrivo del veicolo, un’emozione particolare che si avverte solo alcuni attimi prima dell’apertura delle porte, in quanto, chi può, cercherà di accaparrarsi i posti più comodi.

Guarnizioni di un mezzo AST

L’autista, quello del nuovo mezzo, apre e tutti salgono lasciando sull’asfalto solo il grosso veicolo bianco e il suo conducente. Dentro, intanto, è una guerriglia: c’è chi si accomoda sulle gambe di un amico già seduto, chi raggiunge gli scalini e si siede li in basso, c’è chi, come il nostro amico, deve proseguire il seppur brevissimo tratto di strada in piedi, schiacciato dalla frenetica massa dei coetanei, serrati nello striminzito tunnel centrale, che divide le due file di sedili. “Per fortuna” pensa “che fra un paio di fermate devo scendere”.  L’autobus arriva alla rotatoria di Viale delle Americhe, apre le porte per permettere agli studenti del professionale di scendere; continua il suo tragitto, inforcando finalmente Viale Europa, lasciando intravedere il Liceo, ormai oltre il semaforo.
Il nostro eroe ha finalmente raggiunto la sua Stalingrado ed è stranamente felice oggi nel vedere quel cancello, pur essendo consapevole che fra sei o cinque ore dovrà affrontare la sfida del ritorno a casa. Senza parlare del fatto che la battaglia di ogni giorno lo aspetta oltre il confine, tra i banchi e le cattedre.

 

Sebastiano Cugnata
foto di Alessandro Massari

 

 

 

 

 

 

 

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