Press "Enter" to skip to content

Intervista a Vittorio Agnoletto

Vittorio Agnoletto è uno dei volti più noti del movimento no-global.
È stato eletto europarlamentare nel 2004 tra le file di Rifondazione Comunista, iscritto al gruppo della Sinistra Europea – Sinistra Verde Nordica. Al Parlamento europeo è stato membro della Commissione per gli Affari Esteri; della Commissione per il Commercio Internazionale, della Sottocommissione per i Diritti dell’Uomo, della Delegazione per le relazioni con gli Stati Uniti d’America e della Delegazione all’Assemblea parlamentare paritetica AsiaEuropa. Ha recentemente pubblicato il libro L’eclisse della democrazia, sui fatti di Genova del 2001.

Ecco come ha risposto alle domande che gli abbiamo posto:

Think global, act local”, questa è la frase che forse, più di ogni altra, descrive il movimento No Global, tanto da ispirare movimenti come Il NO-TAV o il più recente NO-TRiV. A dieci anni da Seattle, quali idee si è fatto sui futuri luoghi e modi della protesta?

Non c’è assolutamente alcun dubbio che il mondo di oggi sia un villaggio globale. Per qualunque tipo di azione o movimento dobbiamo sempre avere bene in mente il quadro internazionale e globale oltre la realtà concreta o specifica. Faccio un esempio. La contestazione dell’alta velocità in Val Susa non è semplicemente la contestazione di un treno che può causare danni all’ambiente o alla salute degli abitanti, è la contestazione di un modello globale. Perché? Perché se lo sviluppo è fondato sul dominio di alcune grandi multinazionali che per esempio sul settore agricolo sviluppano una serie di monocolture, con prodotti quindi che devono viaggiare da una parte all’altra del mondo, è ovvio che quel modello rende necessaria una serie enorme di trasporti(aerei, navi, alta velocità ecc.).

Se invece si pensa ad un futuro(prendiamo come esempio sempre il campo agricolo) basato sulla sovranità alimentare e sulla filiera corta,avremo sempre meno bisogno di trasportare i prodotti da un capo all’altro del mondo, cercando sempre più di consumare dove si produce. Ovviamente anche se questo non è possibile per tutti i prodotti, lo è in molte zone del mondo. Ma le politiche internazionali commerciali vanno in tutt’altra direzione, e ne sono un esempio gli EPA, Economic Partnership Agreement, che l’Europa cerca di imporre all’Africa, agendo in accordo con il WTO. Questi accordi mirano esattamente alla distruzione della produzione agricola locale africana, all’abbandono delle terre da parte dei contadini di fronte all’offerta, sul mercato africano, di prodotti a prezzi molto più bassi da parte delle multinazionali europee sovvenzionate dalla comunità europea. Le multinazionali riescono ad ottenere quei terreni e ne modificano la produzione locale sostituendola con monoculture.

Dunque la contestazione è ad un modello economico globale liberista. Allora qualunque vertenza locale noi sviluppiamo dobbiamo avere uno sguardo globale. Quando organizziamo una vertenza per l’acqua pubblica in Italia noi dobbiamo sapere che la lotta per l’acqua come bene comune riguarda l’Africa dove vogliono costruire delle grandi dighe e privatizzarla, riguarda l’India, dove alcune fonti vengono privatizzate e concesse ad alcune multinazionali come la Coca Cola, riguarda tutto il pianeta.

Come dice una vecchia storia cinese, quando si percorre un sentiero in montagna di notte se si guarda per terra si eviterà’ di inciampare ma si rischia di sbagliare direzione, se si guarda in cielo si riuscirà ad andare nella direzione giusta, ma si inciamperà; è necessario essere capaci di fare ballare lo sguardo dal cielo alla terra e dalla terra al cielo: avere sempre chiara la dimensione locale e tenere presente quella globale.

 

Tra le altre cose, lei è anche un medico che si è occupato delle condizioni di lavoro degli operai. Che cosa ha provato difronte ai recenti fatti di Barletta in cui quattro lavoratrici in nero hanno perso la vita?

Di fronte ai fatti di Barletta non si può che provare una profonda rabbia, ma con la consapevolezza che questi episodi non sono un’eccezione, ma sono purtroppo destinati a ripetersi finché non andremo avanti con una diversa regolamentazione del mercato del lavoro, finché non sarà cancellata la vergogna dell’assenza dei controlli, peraltro previsti dalle leggi vigenti. La lotta al lavoro nero e al precariato, che sono tra gli obiettivi principali del movimento, dovrebbero essere in cima alle preoccupazioni di chi si cimenta nella costruzione di un governo diverso; non fu così con l’ultimo governo Prodi.

 

Ogni anno rivediamo mobilitazioni autunnali, che poi subiscono un forte affievolimento, finché s’arriva alla calma piatta dell’Estate (fatta eccezione per alcune specifiche manifestazioni). Secondo lei, chi ha fame e chi non ha lavoro riesce a mangiare e a lavorare in Estate o ci sono altre ragioni dietro questo fermo?

È evidente che chi non ha da mangiare, chi non arriva a fine mese, chi non riesce a sostenere il mutuo sulla casa, soffre questa situazioni di ingiustizia sociale in qualunque situazione, e dunque, anche in estate. Quel che però caratterizza la vita politica e sociale italiana è che in estate non si è mai riusciti a sviluppare forti movimenti collettivi. Però dobbiamo anche dire che si registrano risultati importanti: non dimentichiamo che le vicende genovesi nel 2001 si svolsero a luglio con una grande partecipazione di massa, e che l’ultimo anno vi sono state importanti iniziative dei movimenti all’inizio di agosto.

 

Lei si è distinto per la sua lotta par ottenere la verità sui fatti di Genova 2001. A che punto siamo con l’accertamento della verità?

Oggi, sui fatti di Genova del 2001 ormai si conosce la verità. E la verità alla quale si è giunte duranti i processi per i fatti di Bolzaneto, della scuola Diaz e numerosi fatti di piazza, corrisponde a quanto il movimento aveva sostenuto fin dal luglio 2001. Non si riesce però a fare seguire all’accertamento della verità giudiziaria la giustizia: nessuno dei 25 poliziotti condannanti alla Diaz, nessuno dei 44 poliziotti, carabinieri, personale dell’amministrazione penitenziaria, personale sanitario, condannanti per i fatti di Bolzaneto, nessuno della decine di poliziotti e carabinieri condannati per i fatti di strada, né tantomeno l’allora capo della polizia, né l’allora capo della Digos di Genova condannati per l’istigazione alla falsa testimonianza dell’allora questore di Genova (per vicende collegate alla Diaz) si faranno un solo giorno di detenzione. Non solo, è notizia di poche ore fa, che probabilmente non si riuscirà a giungere neanche alla sentenza di Cassazione per il processo sulla Diaz e Bolzaneto, per l’ostruzionismo che alcuni imputatati stanno realizzando con mezzi meschini: quelli cioè di continuare a modificare la propria residenza dove gli atti devono essere notificati. Di fronte a questi atteggiamenti la giustizia non interviene ad accelerare le consegne della documentazione processuale, né a punire questi comportamenti; vi è il concreto rischio che il processo arrivi in Cassazione quando ogni reato sarà già prescritto.

 

Qual è lo stato dei diritti umani in Italia, oggi?

Lo stato dei diritti umani, in Italia, oggi è in continuo peggioramento. C’è una differenza, che si dilata sempre di più tra le garanzie e la tutela dei diritti umani sancite dalla Costituzione e la pratica reale. Uno dei vulnus principali è purtroppo rappresentato proprio dal comportamento delle forze dell’ordine. Mi riferisco non solo ai fatti di Genova: possiamo parlare di Cucchi, di Aldrovandi, di tante altre situazioni drammatiche che si sono verificate. Manca un organismo terzo, cioè indipendente dall’autorità di polizia e da quella politica, che possa intervenire come soggetto indipendente per verificare che i diritti vengano rispettati e che possa, dove necessario, svolgere un’azione di tutela.

 

Trova corretto sul piano etico e professionale che 25 imputati su 27 nel processo Diaz si siano avvalsi della facoltà di non rispondere e che nessuno di loro abbia rinunciato alla prescrizione?

Il Pubblico Ministero del processo Diaz il dottor Enrico Zucca, ha dichiarato che il processo per la scuola Diaz è stato uno dei più difficili processi della storia repubblicana e che quel processo è assomigliato ai processi per violenza sessuale, dove sono le vittime che devono giustificare il proprio comportamento, ancor prima che gli imputati siano chiamati a giustificare le proprie azioni,

Aggiungerei che spesso ha ricalcato le dinamiche dei processi contro la grande criminalità organizzata.

I comportamenti degli imputati sono infatti stati molto simili a quelli degli imputati nei processi contro la criminalità organizzata: quelli di utilizzare la facoltà di non risponde, non rinunciare alla prescrizione, quello di dichiarare il falso, quello di difendersi come gruppo compatto al proprio interno, quello di utilizzare il proprio ruolo e più propri rapporti politici per cercare di rendere più difficile l’accertamento della verità. Io credo che questo sia inaccettabile e che questo sia un comportamento che, almeno nell’Europa occidentale, si possa verificare solo in Italia.

 

Lavoro nero e sfruttamento fanno parte di un bagaglio di rassegnazione sociale e culturale che in Italia non è patrimonio del solo sud. Quali pensa siano le modalità più adatte per abbattere e combattere questo fenomeno?

Purtroppo non c’è alcuna volontà, oggi, di sviluppare interventi reali contro il lavoro nero e lo sfruttamento, anzi vengono approvate alcune leggi e direttive che tendono a favorire il lavoro nero. Faccio un esempio: tre anni fa, quando ero ancora al Parlamento Europeo è stata approvata una direttiva che diceva una cosa molto semplice: se viene individuato un luogo di lavoro dove alcuni immigrati lavorano in nero, il datore di lavoro è costretto a subire una multa e a pagare gli ultimi tre mesi di stipendio, ma i lavoratori immigrati vengono immediatamente espulsi. Qual è dunque la conseguenza di questa direttiva? Che il prezzo più alto lo pagherebbe il lavoratore immigrato, il quale, paradossalmente, ha tutto l’interesse a non denunciare il lavoro nero e anzi ad agire in accordo col proprio sfruttatore. Questo è un esempio specifico rispetto al lavoro immigrato, ma spiega come la politica non sta sviluppando tutti gli strumenti necessari per andare verso l’azzeramento del lavoro nero. A tutto ciò possiamo aggiungere i tagli che il governo Berlusconi ha fatto al numero degli ispettori che dovrebbero andare a controllare le condizioni di lavoro. Vi è inoltre un fatto culturale: in un Paese dove i furbi vengono premiati, coloro che obbligano altri a lavorare in nero, che li sfruttano senza contratto, diventano purtroppo degli esempi per la popolazione. Il problema è la volontà politica, che, a tutt’oggi, non c’è.

 

Cosa ne pensa del MUOS di Niscemi? E’ una storia che non prende le prime pagine dei giornali, ma nella quale sono coinvolte le vite di molti cittadini. Ci sono molte storie oscurate in Italia?

È vero che la vicenda in questione non occupa le pagine dei grandi giornali che spesso preferiscono pubblicare con ampio risalto notizie di cronaca nera prive di qualunque interesse per la vita collettiva. Rischiamo inoltre di essere sopraffatti da un tale sovrannumero di notizie che non ci aiuta ad individuare le priorità.

Credo che la specifica vicenda rappresenti una questione estremamente grave che non dovrebbe rimanere solo tra le pagine locali e che ha al suo interno due aspetti: quello della minaccia per la sicurezza e la salute dei cittadini e quello rappresentato dagli obiettivi e dall’interesse militare da contestare.

 

Qual è il futuro della sinistra in Italia?

Qual è il futuro della sinistra in Italia? Se dovessi dare una risposta adesso, la risposta non sarebbe ottimista. Preciso che quando parlo della sinistra, io parlo di quella galassia che è situata a sinistra del PD. E nonostante ci auguriamo tutti che in tempi brevi riusciremo a provocare la caduta del governo Berlusconi e, magari, delle elezioni che porteranno alla vittoria del centrosinistra, questo non risolve la questione dell’estrema debolezza della sinistra.

Io credo ci sia una sorta di schizofrenia: non si può dichiarare che la situazione politico-sociale è drammatica e che precipita ogni giorno, che le condizioni di vita sono destinate a peggiorare per enormi masse della popolazioni e poi non capire che di fronte a questa tragedia sociale tutti coloro che, a sinistra, hanno un ruolo di direzione devono sentire la responsabilità di unificare le forze.

La distanza che c’è tra i vari segmenti della sinistra è minima di fronte alla distanza che c’è con altri schieramenti politici e di fronte all’enormità dell’attuale tragedia sociale. Penso sia necessario costruire un polo di sinistra antiliberista, autonomo in termini culturali, di elaborazione politica ed organizzativa che poi deciderà, di volta in volta, se allearsi o meno con il centro-sinistra.

Credo che qualora si costruiscano delle alleanze, necessarie e doverose per battere Berlusconi, sia altrettanto importante avere la consapevolezza che quella che si costituisce (nel caso ve ne siano almeno le condizioni minime) è un’alleanza tra un centrosinistra liberista e una sinistra antiliberista.

Faccio un esempio: sono dieci anni che il movimento antiliberista mondiale si batte contro Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione Mondiale del Commercio. Anzi, il movimento globale, nasce a Seattle, proprio contro il WTO, individuando in questa istituzione liberista, non eletta dal popolo, uno degli strumenti principali delle disuguaglianze nel mondo. Contemporaneamente abbiamo l’Internazionale Socialista (che accoglie anche gli ex Ds, ora Partito Democratico) che lavora non contro il WTO, ma per conquistare la direzione di quella istituzione; ed infatti l’ottiene con l’elezione a direttore generale di Pascal Lamy, ex parlamentare socialista francese.

Ed una volta che le forze del centrosinistra mondiale hanno conquistato la direzione del WTO nulla si è modificato nelle tremende e ciniche regole di quell’organismo che, ad esempio, difende le multinazionale del farmaco impedendo le cure contro l’AIDS (ma non solo) a milioni di africani. Ho fatto questo esempio internazionale per spiegare che la necessità di una sinistra antiliberista, forte e organizzata è un’esigenza non solo italiana. Poi si discuterà dell’alleanza con il centro-sinistra liberista, ma deve essere chiaro che questo è il punto più importante. Nella realtà invece prevalgono divisioni, miopia politica e, mi si permetta, molti personalismi.

 

Se il centro-sinistra dovesse ricorrere alle primarie per decidere chi debba essere il suo prossimo leader di coalizione, lei proporrà la sua candidatura?

Non proporrò la mia candidatura ed anzi penso ce ne siano già troppe, quattro o cinque secondo le voci delle ultime settimane. Penso però che dovremmo essere chiamati, come popolo di sinistra e centrosinistra a discutere non solo di nomi, ma anche di programmi. Sono contrario alle primarie solo sulle persone e chiederei invece che chi si presenti alle primarie leghi al proprio nome un’ipotesi di programma o perlomeno spieghi quali scelte intende compiere sui punti principali di un programma di coalizione. Cominciando, per esempio, dai temi della politica estera. Cosa s’intende fare, ad esempio, in merito all’impegno militare italiano in Afghanistan o in Libia ?

 

Generazionezero.org è un giornale web che si occupa delle condizioni dei giovani nel sud d’Italia, senza però dimenticare quanto avviene nel “villaggio globale”. Tenendo presente quali sono gli intenti della nostra associazione e che le domande che le sono state poste sono frutto della collaborazione di più persone all’interno del collettivo, che cosa si sente di dirci?

 

Nel porre le domande è evidente come il vostro gruppo sia molto informato (alcune delle vostre domande sottendono una conoscenza che purtroppo non è patrimonio della massa degli italiani) e come questo sottintenda una profonda consapevolezza dei temi che abbiamo discusso, a cominciare dalla prima domanda. Io credo che l’intreccio tra locale e globale sia fondamentale; viviamo invece in un Paese che purtroppo riduce tutto a una questione di semplice e banale provincialismo, e che non capisce né in ambito istituzionale, né in quello mediatico, quanto sia impossibile affrontare la crisi se non si discute di finanza internazionale, se non si pongono delle regole alle speculazione finanziaria, se non si interveniente a limitare lo strapotere di banche e multinazionali.

Avere posto queste domande fa molto onore ai giovani di Generazionezero.org

Link utili:

http://www.vittorioagnoletto.it/

http://www.facebook.com/eclissedemocrazia

Vittorio Agnoletto su Twitter

Vittorio Agnoletto su Facebook

L’intervista è stata realizzata da Gianni Scifo con la collaborazione di Giulio e della redazione di Generazionezero.org

2 Comments

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *