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Il coma della legge italiana

È appena suonata la campanella della quarta ora, al Liceo scientifico di Ragusa, quando i ragazzi tornano a riprendere posto in auditorium. Hanno da poco finito di vedere un film dall’intreccio e dalla messa in scena (volutamente) articolati: Bella Addormentata di Marco Bellocchio, perciò s’è deciso di concedere qualche minuto di riposo, prima dell’inizio del dibattito. Quando inizia a parlare Giovanni Iacono, presidente del consiglio comunale di Ragusa, alcuni ragazzi stanno ancora sistemandosi. Iacono inizia a parlare di testamento biologico, in perfetta continuità con il tema del film appena visionato: Il primo dicembre entrerà in vigore, a Ragusa, il registro dei testamenti biologici, spiega Iacono, “proposta discussa in sede di consiglio già dal marzo del 2013” e che permetterà ad ogni cittadino ragusano, se accompagnato da un testimone, di poter indicare la propria posizione, in merito al personale diritto di rifiuto dell’idratazione e dell’alimentazione forzate, nel caso di coma irreversibile e permanente.

Il padre di Sara

Iacono conclude e, dopo una breve analisi del tema del film, da parte di due giovani studenti di cinema, si arriva al momento topico del dibattito: prendono la parola Beppino Englaro, padre di Eluana, e Luciano Di Natale, padre di Sara. Si parla per decine di minuti di accanimento terapeutico, di rifiuto dell’alimentazione forzata, della mancanza di una legge specifica sull’eutanasia e dell’inadeguatezza delle recenti leggi sul testamento biologico. Proprio a questo proposito è il professore Di Natale a parlare dell’incostituzionalità della legge del 2011 sul biotestamento, definita come un vero e proprio “sondino di stato”, perché permette, come afferma lo stesso Di Natale di: “aprire la busta del testamento biologico, solo se si manifesta uno stato di morte cerebrale” e ancora che “l’idratazione e la nutrizione sono sostegni vitali e non terapie, quindi non si possono rifiutare”, in palese contraddizione con l’art. 32 della Costituzione che recita: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” e con l’art. 9 della Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, firmata dall’Italia nel 2001 (Legge 28 marzo 2001, n. 145), ma mai ratificata, la quale afferma che: “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno presi in considerazione”.

Il padre di Eluana

A questo punto il dibattito continua ed è Beppino Englaro a prendere la parola, affermando come gli unici mezzi che possano sopperire la mancanza di leggi su dei temi così complessi, siano la Costituzione stessa e le sentenze della magistratura, come la sentenza 21748/2007 della Corte di Cassazione, o la sentenza d’appello del 9 luglio 2008, la quale afferma come: “Il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione terapeutica non può essere negato nemmeno nel caso in cui il soggetto adulto non sia più in grado di manifestare la propria volontà”. Anche se è vero che la stessa applicazione delle sentenze può essere, alle volte, motivo di accusa, e che, come afferma nuovamente Di Natale: “La maggior parte dei rianimatori ha paura delle conseguenze medico-legali, rispetto alla cessazione della terapia” e che “il medico rischia di andare in galera se esegue la cosiddetta ‘desistenza terapeutica’”.

Suona la campana della fine delle lezioni e si è costretti a passare ai saluti. Dal resoconto della conferenza emerge soprattutto la totale inadeguatezza delle istituzioni (e del Parlamento in particolare, ndr) nel trattare temi di spessore così elevato, e della miopia della politica nel riconoscere un diritto elementare in uno Stato civile. Afferma bene, ancora una volta, Beppino Englaro, quando dice che: “Nelson Mandela, per rivendicare il più elementare dei diritti, come la parità tra bianchi e neri è rimasto in galera per 28 anni; mia figlia, per rivendicare il diritto naturale e fondamentale di dire ‘lascia che la morte accada’ è rimasta imprigionata 17 anni.”

Giuseppe Cugnata

 

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