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La meta storia infinita

Vi siete mai chiesti come un libro, una sequenza rilegata di pagine, garanti di frasi, parole, sintagmi, contenuti, possa avere il potere di catturare la nostra attenzione, il nostro desiderio di giungere alla sua (ultima o parziale) conclusione in preda ad una curiosità insaziabile?
Lo studio linguistico compiuto in campo semantico – sintattico nel corso dei tempi  è testimone di come una frase possa essere in sé la prima culla di un singolo frammento di narrazione, una sineddoche pronta a confluire nel flusso narrativo creato, come coeso e inarrestabile, dalla sequenzialità cartacea che è pragmaticamente un libro.
La storia che un qualunque manoscritto rilegato contiene non è altro che la mistura ponderata e minuziosamente costruita di frasi, intese come scrigni, custodi di strutture soggiacenti, venose e arteriose, entro le quali scorrono significati personificati, a cui Tesnière ha “linguisticamente” cercato di render conto e prova.
Lo studioso francese di lingue classiche e moderne Lucien Tensière (1893-1954) era stato in grado di analizzare e monitorare il comportamento e le sembianze del verbo da un prospettiva innovativa, precedente alla costruzione dell’enunciato quale graficamente enucleato. Da una tale angolazione, il verbo appariva come l’espressione d’un “petit drame”, nel quale recitavano, sotto varie spoglie, diverse figure (principali o comparse che fossero) definite “attanti”;  attori, in grado di declamare le proprie battute all’interno di un contesto causale, temporale e spaziale determinato. Tutto ciò che non era utile a delimitare la scena entro cui si sarebbe svolto il dramma in sé, veniva considerato come accessorio o facoltativo, non indispensabile alla realizzazione dell’evento rappresentato dal verbo (il maître en scène tramite francesismi).
Un’analisi del genere premetteva che le definizioni stesse di “petit drame” e di “attante” derivassero da un approccio alla materia di tipo SEMANTICO, dando maggiore prominenza al significato che al significante del termine stesso. Sul piano del significato si ricalcavano i lineamenti di quelli definiti RUOLI SEMANTICI, incarnati nell’immediato dagli attanti in scena.
I ruoli sono tutt’ora da distribuirsi in scala, secondo caratteristiche prominenti, prima tra tutti la capacità di un elemento (via via più blanda nell’atto di scendere in fondo alla scala) di acquisire le sembianze di soggetto (AGENTE) dell’azione, realizzata, per volontà di quest’entità animata, dal verbo. Le entità protagoniste attive o passive dell’azione o dell’evento, andando verso la base della scala, pur perdendo volontà e vita, rimangono all’interno del “dramma” poiché è il verbo stesso a reputarle (qualunque sia il loro ruolo) indispensabili alla buona riuscita (“grammaticalità” in termini SINTATTICI) della pièce .
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Ogni termine di frase, ogni costituente, garante di un ruolo ben definito attribuitogli dal verbo, agisce in concomitanza all’agire degli altri elementi; ciò porta l’intera gamma di costituenti/ attanti a coordinarsi in un processo di meta narrazione, ossia nel raccontare una porzione di racconto nel complesso del racconto stesso. La scena sulla quale intervengono gli attanti di ciascun’enunciato, non è altro che una porzione di fotogrammi (inerenti alla narrazione complessiva) proiettata nella mente di chi legge.
Il fornire sequenzialmente e gradualmente informazioni sulla storia narrata, permette così al lettore di visualizzare nel proprio conscio una successione di immagini, dialoghi e movimenti (affluenti della storia nel suo insieme) che incoraggeranno il soggetto nella lettura.
Basta soffermarsi, focalizzare quali elementi compongano il messaggio che è parte del “tutto narrativo”, per comprendere che ogni frase rappresenta il trampolino di lancio per addentrarsi nei meandri semantici del periodo successivo; per partecipare allo svolgimento di un’azione graficamente data, che diventa plastica e digitale nell’immaginario di ciascuno di noi.
Quella ricostruzione mentale, visiva, così tangibile da potersi odorare, toccare; così falsamente vera per poter essere realmente ricondotta alla struttura, apparentemente vuota, a cui diamo nome di FRASE.

di Marta Cafiso

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