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Ricerca e Sviluppo : L’Italia investe troppo poco

La Commissione UE nella Relazione per paese relativa all’Italia 2019 ha dichiarato che “il livello di investimenti in ricerca e sviluppo in Italia è ancora inferiore a quello degli altri paesi dell’Unione Europea”.
Secondo i dati ISTAT la principale fonte di finanziamento di Ricerca e Sviluppo nel nostro paese è il settore privato. “Su quasi 23,8 miliardi di euro stimati come spesa per R&S, imprese e no profit contribuiscono per il 55,2% come finanziamento”. Per fare un confronto: nel 2017 le università hanno speso 5,6 miliardi di euro, le istituzioni pubbliche 2,9 miliardi.
Gli investimenti però non sono equilibrati e la divergenza tra Nord e Sud è particolarmente marcata. Infatti, il 70% della spesa in R&S (16,2 miliardi di euro) si concentra nelle regioni del Centro-Nord (Lombardia, Lazio, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto).

Ad aggravare il tutto vi sono gli scarsi successi ottenuti nell’ambito del programma quadro della ricerca europea Horizon 2020, il quale comprende progetti che vanno dal cibo elettronico commestibile che controlla la salute, al modo in cui il cambiamento climatico potrà modificare la superficie terreste.
Il Consiglio Europeo della Ricerca (Erc), in collaborazione con Horizon 2020, ha finanziato 600 milioni a 301 ricercatori europei, fra i quali 23 italiani; di questi però solo 7 hanno deciso di realizzare il progetto in Italia.
L’obiettivo dell’Erc è di “incoraggiare la ricerca attraverso finanziamenti competitivi e sostenere la ricerca di frontiera sulla base dell’eccellenza scientifica”, mentre lo Stato deve garantire finanziamenti per tutti a un primo livello.

Il ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (Miur) eroga direttamente alle accademie e agli enti di ricerca un fondo annuale per le spese ordinarie e del personale. Il problema è che solo una piccola quota di questo fondo può essere impiegata per la ricerca. L’ex ministro Busetti aveva parlato di finanziamenti per 100 milioni dal 2020, ma i ricercatori chiedono un totale di 1,5 miliardi, quasi in linea con l’impegno che si era assunto l’ex ministro Fioramonti senza successo. La legge di Bilancio 2020, approvata il 24 dicembre 2019, vale circa 32 miliardi di euro, ma tra le grandi manovre del governo sono assenti università e ricerca.
Nota positiva della legge è stata la creazione dell’Agenzia nazionale per la Ricerca (Anr) con lo scopo di erogare finanziamenti, valutare l’attività di ricerca e semplificare le procedure amministrative e contabili. L’obiettivo è di gestire al meglio le risorse disponibili, le quali per l’Anr ammontano a 200 milioni per il 2021 e 300 milioni all’anno dal 2021, premiando progetti innovativi.
Tuttavia, non mancano le perplessità. I direttori del comitato vengono eletti tra studiosi in materie scientifiche da una commissione di esponenti politici che possono influenzare l’assegnazione dei progetti. Inoltre, la valutazione delle attività di ricerca viene svolta anche dall’Anvur e questo porterebbe, secondo alcuni, ad una complicazione dei processi di valutazione e ad uno spreco di risorse.

Tra gli effetti negativi dei pochi fondi a disposizione della ricerca c’è il “Brain-drain”, la cosiddetta fuga dei cervelli. I dati ISTAT dicono che nel 2018 sono partiti 117mila italiani di cui 30mila laureati. Il Rapporto Italiani nel Mondo 2019 della Fondazione Migrantes riporta che il 40% di chi è partito nel 2018 ha fra i 18 e i 34 anni.
Il Consiglio nazionale della ricerca, nella Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia, ha dichiarato che “nel mondo della R&S l’Italia è un’anomalia”. Il sistema della ricerca italiana è sotto finanziato rispetto agli altri paesi perché c’è un basso finanziamento pubblico e perché il tessuto produttivo basato su piccole aziende rende difficile investire in ricerca.
Nonostante questo, l’impatto della ricerca scientifica italiana risulta superiore alla media europea se si guarda alla qualità della produzione scientifica. A dimostrarlo vi è la notizia riguardante il primato dell’isolamento del Coronavirus da parte di 3 ricercatrici dello Spallanzani di Roma. Nel team vi è Francesca Colavita, ricercatrice molisana appena 30enne, che dopo il traguardo scientifico ottenuto è stata assunta dopo anni di precariato.
Al di là delle motivazioni economiche, investire nella ricerca significa investire nel futuro e nei giovani, più tardi lo capiremo e più saranno le opportunità che perderemo.

Erica Minchillo 

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