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La riscossa civica dell’Italia. Intervista a Ferruccio de Bortoli

Ferruccio de Bortoli, giornalista e scrittore, ex direttore del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore nonché ex amministratore delegato di RCS Libri, ha presentato durante la 10° edizione di “A Tutto Volume” il suo nuovo libro: “Ci salveremo. Appunti per una riscossa civica”. Il libro, edito da Garzanti, prende in esamina i risultati, spesso disastrosi, della deriva populista del nostro Paese, indagando le colpe della classe dirigente pubblica e dei media. Eppure in mezzo al declino del Paese, de Bortoli trova dei segnali incoraggianti, che risiedono nell’enorme capitale sociale fatto di reti di associazioni e impegno nel volontariato. La riscoperta del senso civico e del valore della cittadinanza sono alla base della riscossa civica che salverà l’Italia dal declino morale e civile, prima che politico ed economico, che sta colpendo il Paese. Intervistato a margine della sua presentazione, ha risposto così alle nostre domande.

Il suo libro si intitola “Ci salveremo. Appunti per una riscossa civica”. Da cosa dobbiamo salvarci? E in cosa deve consistere la riscossa civica che lei auspica?
Innanzitutto salvarci dal declino economico e morale del nostro Paese. Dal rischio, neanche tanto remoto, che ci possa essere una crisi finanziaria. Quello che io voglio dire è che dovremmo preoccuparci di mantenere ed arricchire tutti quei legami e quei valori che tengono unita una comunità nazionale e che la rendono rispettabile all’estero. Proprio per questo il focus del libro è il tema della cittadinanza. La qualità della cittadinanza si misura dal rispetto del senso civico, dalla tutela del bene comune, dalla osservanza delle leggi, dalla constatazione che viviamo in uno stato di diritto, per cui il consenso non è la legittimità di poter fare qualsiasi cosa. Da ciò ne deriva il rispetto delle istituzioni e sopratutto l’impegno per costruire una società più giusta da consegnare alle prossime generazioni. Oggi viviamo in una sorta di miopia politica ed economica, siamo condannati ad una sorta di cecità verso il futuro, il paese declina ed è sempre più isolato a livello internazionale. Nonostante ciò, ci sono moltissimi aspetti incoraggianti a quali ci si può aggrappare. È qui che il tema di come ci si senta cittadini nel proprio paese e di quanta consapevolezza si abbia dei doveri prima che dei diritti, diventa un tema cruciale e pre-politico.

Come lei stesso afferma, ci sono delle iniziative di associazionismo e volontariato in risposta a questa crisi sociale ed etica. Tuttavia non vengono narrate dai media, che raccontano una situazione peggiore della realtà. Come mai questa discrepanza?
Il mondo dell’informazione ha molte colpe, ma del resto non si può pretendere che esso sia del tutto avulso rispetto al contesto politico, economico e sociale da cui deriva. Certamente c’è stata una disattenzione rispetto a quella che è la ricchezza e la vastità del capitale sociale in Italia, il quale registra punte di volontariato, altruismo e associazionismo di varia natura a tutte le latitudini. La critica nei confronti del mondo dell’informazione è una critica fondata perché si ha una tendenza naturale a raccontare la parte negativa: a distruggere più che a costruire. Ma il mondo dell’informazione ha, per sua funziona sociale, il compito di mettere in guardia la classe dirigente dalle negatività, altrimenti diventa il cantore dell’ottimismo, rischiando di essere fuorviante. Tuttavia, nel momento in cui ci si accorge che esiste questo tessuto sociale e questa rete di associazioni di qualsiasi natura, ci si rende conto che l’Italia ha un ammortizzatore sociale molto importante e vasto. Un ammortizzatore sociale che è stato in grado di assorbire l’impoverimento che ha colpito l’Italia negli ultimi dieci anni e ha impedito che il malessere sociale sviluppato si evolvesse in tensioni violente e disordini che sarebbero stati persino giustificati. Questo malessere si è invece trasformato in un lato nell’indifferenza, cioè non sentirsi cittadini di questo Paese e andarsene se possibile, e dall’altro lato in una protesta di tipo politico come quella del Movimento 5 Stelle o della Lega.

Quindi per ciò che concerne l’informazione, lei afferma che è un elemento strutturale il racconto preponderante degli aspetti negativi rispetto a quelli positivi?
No, io penso che si debbano raccontare entrambi gli aspetti, però non si può neanche pensare che l’informazione edulcori la realtà. Un’informazione che è utile è quella che segnala le criticità per tempo in modo che chi deve decidere possa farlo a beneficio di tutti. Però è anche vero che forse abbiamo raccontato un Paese molto più in crisi di quanto non appaia, sottovalutando la ricchezza delle relazioni sociali che ritengo la base di una riscossa civica e di una ripresa morale.

In che modo l’attuale governo si sta muovendo per stimolare questo rinnovamento?
Un aiuto concreto sarebbe dare attuazione alla riforma del Terzo Settore, che potrebbero dare una spinta formidabile all’associazionismo in termini di reddito e lavoro, invece è rimasta bloccata. Oggi si va verso una conformazione della società non più Stato e mercato, ma anche comunità. Questa comunità è fatta del volontariato, dell’impegno personale e della voglia di dedicare il proprio tempo. In Italia questo senso di comunità è molto più diffuso rispetto ad altri paesi che hanno una tradizione di charity molto più forte della nostra, come nei paesi anglosassoni. Semplicemente si dovrebbe rendere questo settore più efficiente e meno parcellizzato. Un problema da affrontare è quello della accountability: ovvero ridurre gli sprechi di risorse economiche e di tempo che potrebbero essere meglio spese. In verità si pretende persino troppo a questo governo, molto dipende dalla qualità delle persone e dalla conoscenza dei problemi. Ed io ho la sensazione che non conoscono i temi fino in fondo. Una delle più grandi trappole di questi tempi è il semplicismo: l’idea che tutto si possa ridurre in poco; ma quando si tratta di governare e di tradurre le idee in pratica, ci si scontra con una serie di problemi pratici che presuppongo persone che conoscano la profondità dei problemi ed abbiano competenze. Purtroppo la rete ha favorito un sospetto pregiudiziale nei confronti dei competenti e dei tecnici che fanno parte dell’establishment. L’ignoranza non paga: se una persona non conosce i problemi fa scelte sbagliate, e non c’è vento favorevole se non sai dove andare.»

In questa idea semplicistica di risolvere problemi, rientra anche la reintroduzione dell’ora di educazione civica nelle scuole per riempire quel vuoto nel senso di cittadinanza smarrito? Questa è senza dubbio una partenza, ma non è un po’ riduttivo?
Questa è una grande battaglia, che attraverso una legge di iniziativa popolare, è stata portata avanti ed è in fase di approvazione in parlamento. Tuttavia in realtà si rivelerà come una finzione, perché non vogliono investire nulla di più e non vogliono nemmeno cambiare i programmi. Basterebbe ad esempio che nelle scuole si incominciasse anche soltanto parlare del ciclo dei rifiuti, perché un Paese che non riesce a gestire i propri rifiuti, e che si adatta anche all’idea che i rifiuti possano restare per terra e in strada, è in declino. Ma è proprio sul piano del civismo che noi dobbiamo battere un colpo, in modo da invogliare la gente ad unirsi e partecipare, evitando così di rifugiarsi nella propria casa ad esasperare una serie di paure e fobie. La qualità della cittadinanza è una grande sfida. Le grandi fasi di ripresa delle nazioni hanno anche una base psicologica di massa che scatta improvvisamente, in un processo impalpabile e interiore. Ed io sono convinto che il buon esempio sia contagioso.

Intervista di Salvatore Schininà

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