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L’Aurora di Torino: la gente di Manituana

Tensione a Torino

Per qualche settimana Torino è stata piena di sole. È stato un febbraio caldo, perfetta introduzione a quel pazzo, lunatico e indeciso mese che è marzo. Ed eccoci in primavera, che ha portato i torinesi a prendere d’assalto il parco del Valentino con tovaglie, palloni e bottiglie di birra. Passeggiare per le vie della città o gironzolare in bicicletta si è trasformato in un piacere completamente diverso, anche se la pioggia, arrivata in ritardo, sta condizionando le giornate di questo strano mese di aprile. Torino, così pianeggiante e con diversi punti di verde, è la città ideale per andare a zonzo durante lunghe camminate. Passo dopo passo ci si imbatte nei diversi quartieri che compongono la città e, mentre si cammina, osservando da vicino la composizione delle case e dei negozi o lo stile con cui i palazzi sono stati costruiti, è possibile tracciare dei confini immaginari. Il quartiere Aurora si estende su entrambe le rive del fiume Dora, affluente del Po, e conta più di 40.000 abitanti. Il mercato di Porta Palazzo, il più grande mercato all’aperto d’Europa, è uno dei simboli di questo quartiere, un luogo in cui l’integrazione è testimoniata anche dalla vicinanza della frutta e della verdura dei contadini piemontesi a quella venduta dalle numerose etnie straniere che qui commerciano, come quella magrebina, araba o caucasica. Un vero e proprio mosaico umano che ha decorato il tessuto urbano del quartiere nel corso degli anni, attraverso un processo di integrazione che ha coinvolto anche le studentesse e gli studenti che abitano qui, vicino al Campus Einaudi, sede di alcuni corsi universitari. L’attualità, però, racconta anche di un mosaico minacciato da un panorama politico nazionale discutibile che sta avviando un pericoloso percorso dove, per tanta gente del posto, è molto alto il rischio di essere costretta ad andare via dal quartiere e dalla città. In continuità con le note scelte politiche attuate da questo Governo, come testimoniano il caso Mimmo Lucano, la nave Diciotti, la Sea Watch (tanto per citare alcuni esempi), c’è in corso anche in Aurora un processo di “respingimento” di determinate categorie sociali ritenute indesiderate: stranieri, migranti, donne e uomini che da anni lottano per l’integrazione e l’inclusione socio-culturale all’interno del quartiere. Nel nome della sicurezza nazionale, o di qualcosa spacciata per essa, lo sgombero dell’Asilo di via Alessandria rientra perfettamente nel “piano sgomberi” di cui la classe dirigente si è fatta promotrice.

 

La voce di Aurora

E passeggiando per Aurora, puntando verso il celebre Cimitero Monumentale, dove tra gli altri riposano Primo Levi e Dante Di Nanni, ci si può imbattere in un gruppo di ragazze e di ragazzi che hanno fatto di Aurora la loro casa. È la gente di Manituana. “Manituana è un progetto politico collettivo nato il 28 aprile 2015 dalla decisione di rimettere in funzione alcuni dei locali sotterranei di via Sant’Ottavio 19 bis, di proprietà dell’Università di Torino. Abbiamo riaperto questi vani da tempo in disuso e dismessi per rispondere alla chiusura degli spazi di aggregazione e di confronto tra student* imposta unilateralmente dall’amministrazione” – raccontano Eleonora e Nicolò – “Manituana ha così preso forma da un incontro tra persone che condividevano inizialmente solo esigenze e condizioni di vita ma che nel tempo hanno trovato coesione attorno a principi come l’antifascismo, l’antirazzismo e antisessismo, l’anticapitalismo e l’antiproibizionismo. Il 7 gennaio 2019 abbiamo nuovamente aperto nei locali di Largo Vitale, liberando l’ex deposito Amiat, uno spazio sfitto di proprietà del comune di Torino, destinato all’abbandono e all’incuria. Siamo tornat* nello stesso quartiere e con i medesimi obiettivi, ricche/i di percorsi consolidati e nuovi progetti”.

Conosciamo meglio, e più nel dettaglio, il lavoro che sta portando avanti Manituana.

Di che cosa si occupa Manituana?
In questi anni abbiamo ampliato i nostri orizzonti politici intrecciando lotte e percorsi, dal Gruppo di Acquisto Solidale al laboratorio di teatro, dalla ciclofficina alla Camera del Lavoro Autonomo e Precario, dalla partecipazione ai percorsi antirazzisti e antifascisti a Non Una di Meno. Abbiamo assecondato la nostra crescente vocazione cittadina (ad esempio attraverso la partecipazione al CoNO – Coordinamento No Olimpiadi), organizzando percorsi e servizi di mutuo aiuto e partecipazione con il quartiere, dalla biblioteca all’aula studio. Quando il 16 maggio 2018 siamo stat* sgomberat* dai locali di via Cagliari, è cominciata la fase di “Manituana ovunque”: abbiamo continuato ad organizzare attività e iniziative in collaborazione con vari soggetti collettivi della nostra città, dal Nessun* Norma Pride 2018 a Braccia rubate all’agricoltura – il nostro festival giunto alla sua quarta edizione, all’insegna del mutualismo, della lotta alla precarietà esistenziale e lavorativa, per una cultura e un’aggregazione dal basso, lontana dalle logiche di profitto che animano la politica torinese in questi anni.

In che modo riuscite a coinvolgere le persone? Quali sono le lotte che state portando avanti?
Stiamo entrando in contatto con gli abitanti del quartiere tramite l’istituzione di momenti sociali, come il pranzo della domenica, aperti a tutte e tutti ed una prossima assemblea sulla possibilità di creare orti urbani nello spazio. Ci impegniamo da sempre per la libera diffusione dei saperi, e in questo momento stiamo attivando una biblioteca e un archivio autogestiti. Manituana al momento ha in attivo seminari autogestiti per sviluppare pensiero critico tramite il confronto orizzontale, un gruppo di teatro, un collettivo artistico, oltre ad organizzare periodicamente concerti e jam sessions, dibattiti e presentazioni di libri. Per sviluppare un modello alternativo di mobilità e consumo, sono stati creati negli anni una ciclofficina e il gruppo di acquisto solidale. Esiste inoltre ‘Marijtuana’, un collettivo antiproibizionista, per l’educazione e la sensibilizzazione sulle sostanze. Siamo impegnat*, in vista dello sciopero globale transfemminista, nella realizzazione di un percorso critico e artistico sulle tematiche di genere.

Quali sono i vostri prossimi obiettivi?
Oggi aprire uno spazio sociale significa lanciare una sfida politica importante e difficile, ed intendiamo percorrerla con tutta la determinazione di cui siamo capaci. Dopo la firma del “contratto di governo”, poveri, migranti, donne e soggettività non conformi sono state messe al centro dell’offensiva nazional-liberista di Salvini e Di Maio. Allo sfruttamento e alla precarizzazione si sono allora accompagnati disciplina ed autorità patriarcale. La proprietà dei confini e dell’identità nazionale consolida la proprietà economica: l’austerità si rafforza tramite l’inasprimento degli sgomberi delle occupazioni abitative, il sessismo di Stato, il respingimento delle/i migranti e la messa al bando delle ONG. Da nord a sud, non mancano però resistenze e lotte inedite. Donne e migranti, precarie/i e studentesse/i, sindaci recalcitranti, ribelli mediterranee/i ed alpine/i si oppongono al governo, rivendicando un radicale cambiamento di rotta. In questa situazione, pensiamo che Torino non possa soltanto restare a guardare ma debba a sua volta mobilitarsi, disobbedire alle direttive del governo, ed in primo luogo rifiutare materialmente il “decreto immigrazione e sicurezza.

Le vostre opinioni sulla TAV?
L’imposizione di grandi opere inutili e dannose, dal punto di vista ambientale e della salute de* cittadin*, è una dinamica che non riguarda solo la Val di Susa ma, in tutta Italia, territori dai quali si vuole unicamente estrarre profitto. Questo processo estrattivista si esplica con modalità e finalità simili nonostante le diversità territoriali, e vede attiva una logica spietata e speculativa che porta all’arricchimento di poche agenzie private mascherata da progresso. In questo senso, la lotta valsusina e quella, siciliana, contro il MUOS presentano molti punti di convergenza che sempre di più, negli anni, si stanno tramutando in una visione ed un impegno comune sia nella riflessione che nella pratica.

Che pensate invece dell’uso degli spazi sociali a Torino?
Sugli spazi sociali, quella che sta avvenendo è una vera e propria “pulizia” del quartiere, fondata sull’espulsione delle categorie sociali indesiderate: le persone povere, quelle straniere e immigrate, attraverso un connubio di militarizzazione e investimenti speculativi. È a questi processi che gli spazi sociali si sono da sempre opposti, analizzandoli, monitorandoli e contrastandoli. Lo sgombero dell’Asilo, descritto in questi giorni come un covo sovversivo, non può che essere letto come un ulteriore passo in questa direzione. L’identificazione dei “nemici pubblici” diventa un’autentica caccia alle streghe, utile grimaldello per accelerare la messa a valore del territorio. Nello specifico, l’operazione giuridica e semantica volta a creare un legame tra la “sovversione dello Stato” e lotta contro gli indegni centri di detenzione per migranti ci sembra l’esempio lampante della sfacciataggine con la quale si svolge questa offensiva.

Attilio Occhipinti

Fotografie di Andrea Bianchi

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