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Il monopolio informativo di Mario Ciancio

La vicenda giudiziaria comincia nel 2010, con l’apertura dell’indagine da parte della procura di Catania a carico di Mario Ciancio Sanfilippo, imprenditore ed editorialista, direttore del giornale La Sicilia dal 1967. L’indagine ha diverse battute di arresto finché nel 2016 si arriva al rinvio al giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa.

Tra le cinque vicende nelle quali i magistrati catanesi hanno riscontrato possibili illeciti, la più rilevante appare la costruzione di un centro commerciale. Vengono infatti riscontrati una serie di rapporti economici tra Ciancio, Giovanni Vizzini e Tommaso Mercadante, personaggi indicati come vicini ad ambienti di Cosa Nostra. La realizzazione dello stabile viene affidata a Basilotta, già indagato per associazione mafiosa ma deceduto prima della fine del processo.
Suscitano l’interesse degli inquirenti i rapporti tra Ciancio e l’ex sindaco di Catania, Enzo Bianco, in relazione all’approvazione del PUA (Piano Urbanistico Attuativo) nel 2013. La vicenda riguarda l’ipotesi che Bianco, su richiesta dell’imprenditore catanese, abbia fatto pressione su alcuni consiglieri comunali affinché si astenessero. Nonostante le smentite dello stesso Ciancio durante il processo, a sostegno dell’accusa viene chiamata in causa un’intercettazione (pubblicata integralmente su Live Sicilia) “da cui si evince che Ciancio – scrive il Tribunale stesso – aveva personalmente sollecitato e si era fatto promettere, dall’allora senatore Bianco, un interessamento in consiglio comunale per l’approvazione del PUA, ciò è dimostrato dal tenore inequivocabile del dialogo”. Come già riportato da Live Sicilia, Bianco ha tenuto precisare che la scelta dei consiglieri comunali fu dettata da modifiche peggiorative al PUA stesso.

Sotto la lente degli inquirenti c’è anche l’acquisto di quote del Giornale di Sicilia, infatti secondo le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, l’operazione sarebbe stata portata avanti da Ciancio in comunione con l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino. Nel settembre 2018 il Tribunale di Catania avvia un processo di sequestro di beni tra quali figurano La Sicilia, le due emittenti televisive di proprietà Ciancio (Antenna Sicilia e Telecolor), la maggioranza delle quote della Gazzetta del Mezzogiorno di Bari, ed altri beni e conti correnti per un valore stimato di non meno di 150 milioni di euro. Le numerose attività di Ciancio nel campo dell’informazione lo avevano reso detentore di un monopolio, nella Sicilia orientale, che per anni era riuscito a distorcere notizie e a silenziare informazioni, come ad esempio mancata pubblicazione sui necrologi dell’omicidio di Giuseppe Fava e del commissario di polizia Beppe Montana.

Come riportato dalla nota di Libera all’indomani del sequestro, l’azione della magistratura deve permettere una rinascita di “un’informazione libera, plurale, autonoma”. Il cospicuo bacino di lettori che i due quotidiani possiedono ha portato il sindacato dei giornalisti (FNSI) ad esprimere preoccupazione per le possibili ricadute nel sistema informativo e per il futuro delle due testate “che rappresentano un patrimonio per l’informazione del mezzogiorno”.

Intuizione di Fava è quella di affidare La Sicilia ai giornalisti siciliani attivi nell’antimafia, restituendo così alla testata “una funzione limpida e autonoma di libera informazione”, ribaltando la linea editoriale imposta da Ciancio di contiguità e opacità del giornale.

“Siamo qui in un luogo confiscato alla mafia, a Nitto Santapaola, che abbiamo restituito alla città”. A parlare, durante una conferenza stampa indetta lo scorso settembre, sono i giornalisti de I Siciliani Giovani. “Dove prima c’era la puzza di mafia adesso giocano i bambini. Adesso La Sicilia è sequestrata per mafia, allo stesso modo va restituita alla città. Noi siamo quelli di Pippo Fava, de I Siciliani, e per quarant’anni abbiamo raccontato e denunciato di Mario Ciancio quello che il Tribunale ieri ha deciso: socialmente pericoloso, amico dei mafiosi. Noi lo abbiamo capito subito, raccontando i fatti. In troppi in questi anni hanno fatto finta di non vedere e non hanno voluto leggere. La giustizia, grazie al coraggio dell’attuale Procuratore, finalmente è arrivata. Tuttavia è già passato il tempo della soddisfazione. Dobbiamo metterci al lavoro”.

Non resta che aspettare e vedere come finirà la vicenda, nel frattempo un altro amico dei mafiosi, l’ennesimo, è stato fermato.

Salvatore Schininà

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