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Il referendum che divide i romani: ATACCATE AR…

Da quando ne ho memoria ATAC è sempre stato sinonimo di: ritardi, disagi e servizi precari. “Si sa quando parti ma non quando arrivi” è il motto perfetto per descrivere il servizio di trasporto pubblico garantito da Roma Capitale. Se a un romano qualsiasi gli chiedi cosa ne pensa di ATAC, la risposta sarà sempre la stessa in tutti i casi: “è uno schifo”. Questo perché quando gli autobus non vanno in fiamme, subiscono guasti o sono gravemente danneggiati al loro interno, i dipendenti sono spesso in sciopero e all’intero dell’azienda c’è un alto tasso di assenteismo (oltre il 12,5%) e le corse quando non vengono saltate, spesso sono interrotte per guasti improvvisi. A tutto questo si sommano disagi interni alle stazioni, come ad esempio il malfunzionamento degli ascensori per i disabili oppure il blocco delle scale mobili che nella peggiore delle ipotesi collassano su se stesse come è successo qualche settimana fa alla fermata “Repubblica”.

Gli unici che sembrano aver colto appieno il disagio dei romani è stato il comitato “Mobilitiamo Roma” che ha raccolto le firme necessarie per indire un referendum consultivo, il quale chiede la liberalizzazione del trasporto pubblico gestito sino ad ora da Roma Capitale. La campagna è stata promossa soprattutto sui social attraverso video ironici che prendono di mira la sindaca Raggi e locandine che spiegano i “pro” della liberalizzazione e i “contro” del servizio attuale. Tra le critiche maggiori rivolte ad ATAC c’è l’enorme debito dell’azienda che supera il miliardo di euro e che ogni anno aumenta di circa 100 milioni. Il costo stimato per ogni cittadino romano è di circa 170 euro l’anno che il Comune deve spendere per risanare il buco finanziario causato dai dirigenti. Ma cosa dovranno scegliere i romani che oggi si apprestano ad andare a votare?

I quesiti

“Volete voi che Roma Capitale affidi tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia mediante gare pubbliche, anche ad una pluralità di gestori e garantendo forme di concorrenza comparativa, nel rispetto della disciplina vigente a tutela della salvaguardia e della ricollocazione dei lavoratori nella fase di ristrutturazione del servizio?”

“Volete voi che Roma Capitale, fermi restando i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia comunque affidati, favorisca e promuova altresì l’esercizio di trasporti collettivi non di linea in ambito locale a imprese operanti in concorrenza?”

I quesiti sono scritti in maniera poco chiara e non è facile capire cosa si chiede effettivamente. Nel primo quesito si domanda se si vuole affidare la gestione del trasporto mediante gara pubblica e ad una pluralità di soggetti, quindi rompendo il monopolio di ATAC che c’è stato sino ad ora. Ma siamo proprio sicuri che più aziende ci sono e meglio funzionerà il servizio? Non si rischia di creare una guerra al ribasso, sulla pelle degli utenti, per accaparrarsi le linee più redditizie? Il secondo quesito invece è molto vago e non si capisce bene cosa si intenda per “trasporti collettivi non di linea”. Per fortuna rimarrà un referendum consultivo.

Il parere dei lavoratori

Cosa ne pensano i dipendenti ATAC di questo referendum? Alla stazione Termini incontro un uomo robusto dalla carnagione olivastra, indossa un maglioncino bianco sopra una camicia azzurra. Noto il tesserino dell’ATAC perciò decido di avvicinarmi e fargli qualche domanda. La conversazione è veloce, ci scambiamo poche battute e percepisco che voglia evitare l’argomento. Risponde che ovviamente lui voterà NO e afferma: “oggi con 1,50 tu puoi andare da Rebibbia a Castel Fusano, a Ostia. Prendi la A, la B, la C e la Roma Lido. Si viè il privato – continua – non è che inizia subito ad assumere nuovi autisti, a comprare nuovi mezzi e a sistemare la situazione. Tutto questo con il biglietto a 1,50 non si può fare, quelli te mettono il biglietto a 5 euro!”. Mentre parla continua a gesticolare vistosamente e a camminare avanti e indietro, faccio quasi fatica a stargli dietro e non riesco a capire perché sia così agitato. D’un tratto si ferma, mi guarda, congiunge le mani e chiede: “Secondo te, il privato te fa pagà il biglietto allo stesso prezzo?!”. Stavo quasi per rispondergli quando mi da le spalle e ritorna verso il gabbiotto, allora gli dico grazie che viene ricambiato da un “de nada”.

Arriva il vagone e salgo sulla metro in direzione dell’Università. Manco a farlo apposta alla fermata Cavour ci fanno scendere tutti quanti per un guasto improvviso alle porte. Fortunatamente l’intero previsto ci costa 10 minuti, ma poteva andare peggio. Finalmente scendo a S.Paolo e vedo una signora minuta che verifica se passando il tornello tutti timbrino il biglietto. Le chiedo cosa voterà domenica e anche lei mi conferma che voterà NO. Quando gli chiedo se ci sono stati miglioramenti da quando l’amministrazione Raggi si è insidiata mi risponde “sì assolutamente, i disastri erano molti, eravamo in continua perdita ma ora dopo aver ottenuto il concordato fallimentare stiamo riuscendo a ripartire. Il problema – chiarisce- oltre agli sprechi e alla mala gestione dei quadri dirigenziali è che ognuno faceva entrare chi gli pareva (amici, parenti ndr.), ma ora queste persone sono state allontanate”.
Mi fa notare che oggi già esiste una azienda privata, anch’essa in forte crisi, che gestisce le linee periferiche della capitale e non riesce a pagare i dipendenti da mesi, ma la cosa positiva è che siccome il prezzo del biglietto lo decide ATAC e di conseguenza il Comune, rimane invariato. Uno dei problemi principali – gli contesto-  è che per molti anni in pochi pagavano il biglietto e la maggior parte degli utenti usufruiva dei mezzi gratuitamente. Mi da ragione e risponde che questo è dovuto alla “maleducazione dell’azienda” che ha permesso alle persone di adagiarsi, ma nell’ultimo anno mi rassicura che la vendita dei biglietti e degli abbonamenti è aumentata esponenzialmente e che questi dati insieme all’enorme taglio degli sprechi fanno intravedere una sorta di luce in fondo al tunnel. Questo anche perché “c’è l’appoggio del Governo che prima non c’era e i soldi iniziano ad arrivare”. La ringrazio per il tempo che mi ha dedicato e mentre mi incammino verso l’Università provo a pensare a cosa votare domenica.

Negli ultimi anni il trasporto pubblico romano è stato veramente un fallimento e le varie amministrazioni non hanno mai voluto metterci mano perché ATAC è sinonimo di consenso elettorale. I voti dei dipendenti spostano il consenso politico all’interno della città e quindi si è preferito evitare di affrontare la situazione portandola al collasso. C’è anche da dire però che i disagi benché frequenti non sono la normalità, il servizio è presente, funziona e le periferie sono ben collegate con il centro della capitale. Non scordiamoci che Roma è una città enorme, congestionata dal traffico perenne a quasi tutte le ore. Dotare l’intero territorio con un servizio di trasporto pubblico non è semplice ed è ovvio che sorgono disagi.
Ma nonostante tutti i problemi che ci sono, siamo così sicuri che il privato li risolva? C’è forse una bacchetta magica oltre alla logica concorrenziale del profitto che renderà il trasporto pubblico eccezionale in pochi mesi? Nonostante si dica che sarà il Comune a decidere tratte e prezzo del biglietto, chi ci assicura invece che quest’ultimo non ceda ai ricatti dei privati e decida di assecondarli cambiando le tariffe?

Ovviamente il lavoro da fare da parte di ATAC è tanto e la pazienza dei romani sta per finire, la situazione deve cambiare e prendere una svolta radicale. Questa è anche l’idea della sindaca Raggi che ha promesso ai suoi elettori di risanare l’azienda e risolverne le maggiori criticità. Difficilmente con un referendum consultivo la situazione cambia, in caso vincesse il “Sì” la sindaca dovrà prenderne atto e soddisfare la richiesta dei cittadini iniziando un dibattito interno alla giunta per cambiare l’attuale sistema. In ogni caso, che vinca il Sì o il NO è necessaria una riforma interna ad ATAC innovativa e senza scrupoli, che elimini gli sprechi, riveda la gestione dei quadri dirigenziali e soddisfi le esigenze dei cittadini. Ma come ogni cosa, siccome siamo a Roma, “ce vò pazienza”.

Youssef Hassan Holgado

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