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Archeomafie che uccidono l’arte

Con l’arrivo della bella stagione l’interesse verso l’arte torna a farsi vivo. Le belle giornate spingono a riscoprire i migliori scenari della Sicilia greca e arcaica, i teatri aprono le loro stagioni artistiche e i turisti godono di queste scenografie naturali. Purtroppo, anche chi lucra sull’Arte torna strisciante alla luce del sole estivo, facendo scempio dei tesori e delle memorie di una terra. Topi di tombe, parassiti dell’Arte e della Storia agiscono all’insaputa del grande pubblico, cagionando enormi danni ai reperti e ai siti.

La situazione ad Arpi

All’inizio di questa Estate è apparso su Cultural Heritage Crime un report sul Sud Italia saccheggiato,“L’Italia meridionale rappresenta uno dei principali serbatoi dell’archeologia clandestina; dal ‘700 la Campania, la Puglia, la Calabria e la Sicilia sono tra le aree archeologiche più “frequentate” dagli scavi abusivi, spesso commissionati da case d’asta, collezionisti privati o musei stranieri” scrive Fabio Fabrizi nel suo articolo sugli scavi in Puglia. Un vero e proprio “sistema produttivo” che si sviluppa soprattutto nella Magna Grecia; per quale ragione? Qual è lo stato di salute dei siti sul nostro territorio? Perché la trascuratezza regna sovrana? Le motivazioni sono molteplici e vanno dalla vicinanza geografica dei siti ai centri abitati, alla mappatura capillare dei siti disponibile a chiunque abbia un po’ d’ingegno. Il lavoro delle Università locali impegnate soprattutto nella divulgazione scientifica delle ricchezze storiche del territorio contribuisce a fornire informazioni ai tombaroli. A questo si aggiunge la dominante carenza di controlli e sorveglianza da parte delle istituzioni e l’incuria dilagante in cui versano i siti. Le ricerche svolte dagli esperti del sito in data 19 giugno 2018 hanno individuato sul territorio di Arpi in Puglia più di 1000 siti archeologici vittime di scavi abusive. Le stime raccontano di 4000 tombe scavate e interventi illegali che toccano le decine di migliaia. La maggior parte dei ritrovamenti risale infatti agli anni ’70 e ’80, epoca in cui si vennero a costituire vere e proprie organizzazioni clandestine incentrate su questa attività, che hanno danneggiato enormi quantità di reperti. Correndo ai ripari nei primi anni 2000 si è favorito il lavoro sinergico tra ricercatori di Università e CNR, funzionari ministeriali e delle Soprintendenze e l’ausilio operativo dei Carabinieri del TPC. L’attività di ricerca si è concentrata su indagini sistematiche sul campo per il rilevamento dei dati, alle quali seguiva la produzione e l’elaborazione delle cartografie e la messa a punto dei sistemi informativi.

Operazione Demetra

È di questa Primavera la notizia di un ingente sequestro da parte della Guardia di Finanza di ritrovamenti archeologici a Siracusa. A seguito di un lungo percorso investigativo, è stato possibile il recupero di 19 reperti (coppe, utensili), 9 monili in metallo e 33 monete, trovate presso l’abitazione di un privato nel Siracusano. Si delinea, infatti, ancora di più da questo fatto di cronaca la natura “privata ed intellettuale” della filiera criminale. Si sottolinea qui l’atteggiamento di quasi “fortuita negligenza” da parte dell’interessato, di chi quasi sbadatamente si imbatte e successivamente si appropria di un bene comune per interesse personale. Come se il dolo, evidente, fosse scusabile dal caso fortuito.

Il traffico muove tutto: volontà, mezzi, fondi e interessi. Del 5 Luglio la notizia apparsa sul Giornale di Sicilia di un maxi sequestro da 20 milioni di euro ai danni di un’organizzazione trafficante reperti archeologici in Sicilia. Le indagini ci danno un quadro aggiornato dello stato di salute dei nostri siti. Decine le persone coinvolte, reperti archeologici di inestimabile valore trafugati in Sicilia e venduti all’estero e a privati. Tutto ciò è stato scoperto grazie all’operazione Demetra condotta dal nucleo Carabinieri Protezione Ambientale ai primi di luglio. I militari hanno sequestrato oltre 20mila reperti, molti dei quali inviati all’estero e che a breve saranno ricondotti in Italia. Secondo gli investigatori al vertice del gruppo stava un 76 enne. L’inchiesta è partita da un’indagine antimafia della Procura nissena sul territorio di Riesi e ha assunto sviluppi internazionali, quando i carabinieri si sono messi sulle tracce di tale Gaetano Patermo, 63 anni, di Riesi. Questi aveva contatti non soltanto con la rete di corrieri che smerciava reperti al nord, ma anche con i componenti di un’altra organizzazione che operava tra Londra, Barcellona e Monaco di Baviera. I reperti, emerge dall’inchiesta, erano immessi nel circuito delle case d’aste di Monaco di Baviera e provvisti di certificati di provenienza. Risultava infatti che i beni arrivassero da collezioni private. Il ricavato finiva poi a Londra, e veniva redistribuito anche in Italia e Barcellona con sistemi di money transfer o con consegne in contanti. Risulta facile comprendere come quello che abbiamo di fronte non è un semplice lavoro domenicale da tombaroli, ma delle sistematiche strutture economiche di sfruttamento e danneggiamento della proprietà pubblica volta al lucro di privati senza scrupoli. Malgrado gli sforzi del Nucleo dei carabinieri la sfilza di reati contro il patrimonio artistico sembra inarrestabile, anche in quanto le fattispecie annesse sembrano molto radicate nel comportamento di insospettabili privati cittadini. Sempre nel cuore dell’Estate è giunta la notizia di un ulteriore cittadino siciliano trovato in  possesso di reperti datati più di 5000 anni. “Si ritiene che alcuni reperti risalgano addirittura al III millennio avanti Cristo” spiegano gli investigatori dell’Arma, per i quali tutti gli oggetti ritrovati erano probabilmente in attesa di essere immessi sul mercato illegale di reperti archeologici.

Lo stato di salute dei siti Siciliani

Dello stesso ordine di problematiche risulta la tutela attiva dei siti archeologici e artistici siciliani. È di qualche mese fa (27-28 Giugno) infatti la notizia del saccheggio delle tombe in contrada Cifali, divulgata con perizia dal sito La Spia. La tecnica utilizzata dai tombaroli è molto semplice, cercare e scavare a più non posso nella speranza di rinvenire o ritrovare reperti di valore. Questo tipo di eventi crea un grave danno al sito e alla filiera turistica che si vede sottratta la possibilità di visitare il luogo a causa delle indagini e delle deturpazioni, oltre che per i lavori di messa in sicurezza. Con l’intento di ricercare oggetti antichi per poi rivenderli al mercato nero di opere d’arte, i tombaroli hanno ricreato un campo minato in tutta l’area di scavo di contrada Cifali.                                                                                                                                                                                                        

Si discute da tempo, anche localmente, circa lo “stato di salute”dei nostri beni culturali in Sicilia. Secondo la diagnosi di Legambiente oltre 22 siti potrebbero essere rovinati irrimediabilmente a causa dell’incuria. Si tratta di diversi monumenti: ville, castelli, tonnare e torri d’avvistamento. Si tratta di beni sia in mano a privati sia in custodia dello Stato, siti che si dipanano da un lato all’altro dell’isola, alcuni in situazioni davvero scandalose e che spesso si trasformano in dimore provvisorie o in luoghi di degrado. Un primo passo da fare sarebbe quello di riflettere diversamente sul significato e sul valore dell’Arte nel paese dell’Arte, troppo spesso vilipesa. Si discute silenziosamente di ciò nei salotti recintati e vietati ai profani. Arte come valore rigenerante nelle comunità, Arte che è prodotto e risultato dell’amore per la cosa pubblica.

Sandro Tumino

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