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Non ci scorderemo di nessuno

Prima di arrivare a Piazza Montecitorio passo per la Galleria Piazza Colonna, meglio conosciuta come Galleria “Alberto Sordi”. Il tempo è sereno anche se fa abbastanza freddo, forse perché è già buio da un’ora. Appena entrato nell’edificio noto una decina di persone, giovani e adulti, che circondano una teca di vetro, al cui interno c’è un rottame accartocciato su se stesso. Una donna bruna e minuta, sulla sessantina, si asciuga gli occhi lucidi di fronte a quello scheletro di ferro grigio; un turista tedesco dalla barba incolta è intento a scattare due foto col suo smartphone mentre un uomo adulto legge la descrizione del cartellone posto dalla Regione Lazio. Quel rottame accartocciato su sé stesso è ciò che rimane dell’automobile su cui viaggiava la scorta del magistrato Giovanni Falcone quel tragico 23 maggio del 1992. Su un altro cartellone sono esposti i volti delle vittime: Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo. Rimango impietrito di fronte alla reliquia della strage di Capaci, ma devo muovermi se non voglio fare tardi all’evento che sta per iniziare.
Attraverso la Piazza passando davanti l’entrata della Camera dei Deputati: fa sempre un certo effetto stare da queste parti e non è per via della massiccia presenza delle forze dell’ordine che vigilano l’area, ma perché si ha la sensazione di respirare un’aria diversa.
Da sotto l’obelisco che si trova a pochi passi da me, intravedo i primi cartelloni e striscioni gialli. Ce ne sono diversi, impugnati con orgoglio e forza da uomini e donne di età diverse, chiedono tutti una sola cosa: verità per Giulio Regeni.
Mi avvicino, e vedo che i fotografi si spintonano per ottenere l’inquadratura migliore. Non abituato a tutto ciò, riesco a mala pena a farmi largo tra la folla e finalmente liberatomi da un leggero imbarazzo iniziale, scatto qualche foto anche io.
Alle mie spalle intravedo una figura nota, con cui ho già scambiato qualche parola un paio di mesi prima. È Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, una persona sempre disponibile per interviste e dibattiti. Lo saluto e mi spiega perché è importante essere presente quest’oggi in questa Piazza gremita di persone. “Oggi è una giornata di tragica ma straordinaria importanza in Egitto a sette anni da una rivoluzione abbondantemente tradita e sono due anni che Giulio non c’è più. Inghiottito da quella spirale di repressione che agisce quotidianamente in Egitto attraverso sparizioni arbitrarie, torture e uccisioni. Inizia domani il terzo anno di questa campagna alla ricerca della verità per Giulio Regeni, l’anno in cui la verità giudiziaria deve finalmente arrivare a coincidere con la verità che chi si occupa di diritti umani in Egitto conosce bene. Tanti abbiamo parlato di delitto di Stato quella è la verità storica, e quando quella giudiziaria arriverà a coincidere con questa allora arriveremo alla verità assoluta”.
Lo ringrazio per la dichiarazione concessa e mi ributto tra la folla per scattare qualche altra foto prima che inizi la manifestazione.
Un’attivista di Amnesty International legge la lettera scritta dai genitori di Giulio per ringraziare tutti i presenti che qui, come in centinaia di piazze italiane da Nord a Sud, si sono tinti di giallo. Tra le parole scritte da Paola Deffendi (madre di Giulio Regeni ndr.) trapela un senso di tristezza ma non di rassegnazione, continua a denunciare a testa alta i depistaggi delle indagini e a chiedere verità per suo figlio e per centinaia di giovani egiziani detenuti ingiustamente nelle carceri di massima sicurezza, soltanto perché hanno espresso idee contrarie al regime.
Mi giro e dietro di me la folla è diventata una massa sempre più grande, a fine evento il Direttore di Amnesty, Gianni Rufini, dirà che saranno state presenti oltre mille persone.
Sono le 19,30 e i presenti accendono le candele distribuite dai volontari di Amnesty, ma non tutti hanno i lumi in mano, sono finiti prima del previsto data la partecipazione inaspettata dagli organizzatori.
Di nuovo i fotografi si sforzano di ottenere la foto più bella: come biasimarli, l’immagine è molto suggestiva. Nell’oscurità della notte i volti sono illuminati dalle candele e dai riflettori usati dai fotografi, il tutto sullo sfondo di un giallo acceso, colore che oramai viene accostato alla figura del giovane studente rapito e ucciso al Cairo il 25 gennaio del 2016.
Sono le 19.41, l’ultima volta in cui due anni fa è stato avvistato Giulio vivo, da allora le ricostruzioni della Procura di Roma evidenziano che il dottorando è passato attraverso più centri di detenzione dove è stato torturato barbaricamente prima di essere ucciso. E a partire da quella stessa identica ora, facciamo tutti un minuto di silenzio. Commozione, luci e di nuovo silenzio prima del concitato applauso finale.
Prende parola Gianni Rufini, che ribadisce il continuo impegno della sua organizzazione per la ricerca della verità per far luce sull’accaduto.
Sulle sue parole finisce l’evento in ricordo di Giulio.
Il 25 gennaio è una data importante per il popolo egiziano, che spinto dall’ondata della “Primavera Araba” ha dato vita a una delle rivoluzioni più partecipate dell’ultimo millennio. Dal Cairo ad Alessandria sono scesi in strada e nelle piazze milioni di egiziani per chiedere la fine del regime di Mubarak, in carica da oltre trent’anni. Ad oggi, sette anni dopo la rivoluzione e due anni dopo la morte di Giulio, questa data ha perso il suo significato originario e non viene più ricordata solamente come il giorno in cui Davide ha cacciato Golia dalle sedi del potere, corrotto e repressivo, ma come il giorno in cui lo stesso potere dalla faccia diversa ma dalla stessa medaglia, corrotta e repressiva, è ritornato in quelle stanze, questa volta, però, portando con sé una brutale violenza, quasi peggiore di quella di Mubarak. Il 26 marzo ci saranno le prossime elezioni presidenziali. Fino ad oggi l’unico candidato è il generale Al Sisi attualmente in carica e succeduto al Presidente Morsi, gli altri quattro pretendenti si sono ritirati dalla corsa, dopo aver subito minacce e pressioni dai servizi segreti.
“Scusi si sposti, non può stare qui!” i miei pensieri vengono interrotti bruscamente da un uomo alto e robusto della sicurezza della Presidente della Camera Laura Boldrini, intervistata in diretta dai giornalisti di Rai News 24.
La manifestazione è finita da circa cinque minuti e un unico pensiero mi attanaglia la mente mentre lascio alle mie spalle la folla silenziosa. Giulio è stato capace di mobilitare un intero Paese, spesso disunito in molte battaglie e lotte, ma non in questa. Forse perché era poco più che ventenne, forse perché era uno studente e non meritava di morire per una ricerca scientifica. Non riesco a darmi risposta. Ciò che è importante è che in fondo, non ce ne siamo mai dimenticati. Come non ci siamo mai dimenticati della scorta di Giovanni Falcone, e quella reliquia che intravedo nuovamente mentre mi incammino verso la metro A per ritornare a casa lo dimostra. Perché che sia un magistrato, uno studente o un agente di scorta, nessuno merita di essere messo a tacere in quel modo.

Youssef Hassan Holgado

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