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“Vivo per questo” il primo romanzo hip-hop

Edito da Chiare Lettere e pubblicato nel giugno di quest’anno “Vivo per questo” è un romanzo hip-hop scritto da Amir Issaa. Amir è un artista che ha esordito nel mondo del rap intorno agli anni 90 spinto dall’amicizia che aveva con il noto gruppo rap romano i “Colle Der Fomento”. Prima di iniziare la sua avventura da cantante rap, Amir è stato influenzato dalla cultura hip-hop romana che ha contraddistinto la sua adolescenza e lo ha plasmato come artista. Figlio di madre italiana e padre egiziano è stato definito dai media come il “rapper di seconda generazione” appellativo riduttivo ma imposto da pregiudizi e stereotipi, essendo comunque nato a Roma, sull’Isola Tiberina. Il suo romanzo ripercorre tutta la sua vita sin da quando da bambino girava con lo skate nelle vie di Tor Pignattara e nell’adolescenza faceva parte della crew “The Riot Vandals” come writer. È tra i fondatori del Rome Zoo, collettivo culturale di cui hanno fatto parte artisti importanti nella scena romana degli anni 90. In questi anni, Amir inizia a scrivere le sue prime rime e intraprende la sua avventura da rapper partecipando attivamente al tour dell’album “Scienza doppia h” dei “Colle Der Fomento”. Nel 2005 incide il suo primo disco da solista intitolato “Uomo di Prestigio” e viene affiancato dalla nota casa discografica “Virgin”.
In questi anni riaffiorano le sue origine egiziane ed emerge in lui il tema delle seconde generazioni. Affronta la questione dello “Ius soli” inviando una lettera all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano fondando l’associazione “Questa è Roma” ed infine incidendo la canzone “Caro Presidente”. Nel 2014 il suo impegno politico per lo “ius soli” continua ed esce il suo brano “Ius Music” che ha riscosso un enorme successo all’estero (America e in Giappone) ma non in Italia dove è stato criticato dalle frange dell’estrema destra. La sua carriera come artista è racchiusa in questo suo primo libro “Vivo per Questo”, un romanzo che in meno di due mesi ha riscosso enorme successo e che rappresenta una testimonianza effettiva della cultura hip-hop romana. Intervenuto nella diretta di Radio Impegno nella notte tra il 25 e il 26 luglio, Amir ci ha raccontato molto di più sul suo libro, di seguito potrete leggere l’intervista integrale:

Amir, buonasera e benvenuto a Radio Impegno: innanzitutto dicci qual è stata la motivazione che ti ha spinto a scrivere questo libro. E in secondo luogo, perché lo definisci un romanzo hip-hop? Di cosa parla?
Gli ho dato una definizione perché nel mondo dove viviamo c’è bisogno di un’etichetta, etichetta affibbiata dagli altri, soprattutto dai media, non da noi. Lo so perché da rapper mi sono trovato tante volte a essere definito come rapper di seconda generazione. Perciò con l’uscita del libro questa volta ho deciso di dargli un’etichetta anticipando tutti. È un romanzo hip-hop che ha l’attitudine di una canzone, di un pezzo rap, ha un ritmo, ci sono delle citazioni, ci sono dei personaggi che entrano e tanto altro. L’ho scritto con la stessa attitudine che ho sempre messo nella musica e quindi quando è uscito mi sono detto che questo è il momento buono per dare una definizione del libro. Diciamo che è stata anche una provocazione nei confronti dei media.

Nei primi capitoli del libro parli del tuo docente di educazione fisica, Gianni. Grande persona che il razzismo l’ha visto e l’ha preso a schiaffi, come tu stesso hai scritto, e che ha sempre cercato di creare condivisione e integrazione tra i ragazzi, per non lasciarli alla criminalità e alla malavita. Basterebbero più persone come “Gianni” nelle periferie italiane per risolverne gran parte dei problemi?
Gianni è un buon esempio, ma ci sono tante persone che si danno molto da fare nelle periferie, nelle situazioni difficili e cercano di recuperare i ragazzi dalla strada. Questo non vuol dire essere degli eroi, bensì essere delle persone sensibili, delle persone che cercano di fare il bene. Una persona come lui ad esempio, quando finiva le sue ore lavorative comunque rimaneva in più tutto il pomeriggio senza essere pagato, e lo faceva perché sentiva che in questo modo poteva fare del bene alla comunità. Io penso che l’Italia va avanti tantissimo grazie a persone come lui, persone che si rimboccano le maniche e fanno del bene senza aspettare l’intervento delle istituzioni, ma soprattutto senza lamentarsi. Fare del bene agli altri è sempre positivo e lui è stato un esempio per me. Però anche se ci fossero tante persone come lui, ci sarebbero lo stesso problemi di integrazione e di razzismo, questo purtroppo è una cosa che c’è sempre stata, non è recente.

Noi trasmettiamo in diretta da Corviale, periferia romana. Tu hai vissuto la tua adolescenza e sei cresciuto in un’altra periferia, quella di Tor Pignattara. Questo è stato un ostacolo da superare o un aiuto, una spinta in più?
Assolutamente è stato uno stimolo, sin da quando ero piccolo il quartiere e ciò che mi offriva la strada in quegli anni 90 non mi bastava. Secondo me le situazioni difficili come quella mia, sono degli stimoli. Spesso le persone che sono cresciute in situazioni difficili hanno il doppio dell’energia degli altri per raggiungere degli obiettivi, magari ci mettono più tempo però hanno molta forza dentro e Tor Pignattara, nonostante sia stato un quartiere difficile, mi ha dato tanta spinta.

Comunque ci tengo a dire che Tor Pignattara non è paragonabile a Corviale o a Tor Bella Monaca, è un quartiere popolare molto simile esteticamente a quartieri come il Pigneto o San Lorenzo. Non parliamo di palazzoni, ma di un quartiere storico; spesso viene incluso nella periferia romana anche se è a 10 minuti da Porta Maggiore. Non stiamo parlando di Corviale, che è un quartiere che conosco bene e che se vogliamo inserirlo in una sorta di classifica di “disagio”, sicuramente insieme a Tor Bella Monaca si trova a un livello più alto.

Qualche giorno fa è stato il 90esimo anniversario del quartiere di Tor Pignattara. Ho visto su una diretta Facebook che hai partecipato ai festeggiamenti. Hai trovato un quartiere esempio del multiculturalismo o con ancora molte divisioni al suo interno?
Ho trovato un quartiere dove si cerca semplicemente di accogliere e di fare. Ovviamente non è facile integrare le comunità, spesso le comunità bengalesi e cinesi tendono magari più a chiudersi piuttosto che a conoscere gli italiani, però ci sono tanti cittadini che insieme al comitato di quartiere cercano di organizzare delle iniziative per conoscersi e integrare tutti. Spesso si ha paura perché non si conosce; i razzisti spesso non hanno mai parlato con una persona che non è del nostro Paese. Quello che si cerca di fare a Tor Pignattara è semplicemente porre in essere delle iniziative dove le comunità hanno le possibilità di incontrarsi. Non lo voglio dipingerlo come il quartiere perfetto o il quartiere dove c’è tutta questa integrazione, però sicuramente ci sono tante persone che ci provano e che fanno tante iniziative e questo è importante.

Nel libro ci parli delle “tre versioni di te”: Massimo, Cina e Amir. Ovvero di te da piccolo con lo skateboard, del tuo passato di writer e della tua avventura e viaggio nel mondo del rap. Nella quotidianità qual è la parte di te che emerge di più?
Sono sempre io anche se fanno parte di momenti diversi della mia vita. Massimo è il nome che mi ha dato mia mamma dopo che mi ha registrato all’anagrafe. È una storia complicata, diciamo che io sono nato come Amir poi nei primi anni di vita, mia madre per facilitarmi nel rapporto con gli altri, a scuola soprattutto, mi ha fatto chiamare Massimo. Se parlate con persone provenienti da altri Paesi questo spesso succede, ad esempio mio papà si faceva chiamare Franco ma il suo nome era al Sayed. Mi sono sentito chiamare Massimo per tanti anni e quando ho letto nella carta d’identità il nome Amir ho deciso di riappropriarmi del mio vero nome dato che non ho nulla da vergognarmi, non ho nulla da nascondere o da cui scappare. Cina invece è il nome che mi ha dato la periferia, la strada. Se sei un po’ in sovrappeso ti chiamano “Er ciccio” se sei un po’ scuro di carnagione ti chiamano “Er negro”, io avevo gli occhi un po’ a mandorla e quindi mi chiamavano “Cina” nonostante fossi metà egiziano e metà italiano. Ma Amir è il nome che veramente mi appartiene di più e che ho deciso di riprendere in mano.

Il Rap è uno stile musicale forte, il cui intento è quello di mandare messaggi importanti. Quali sono i messaggi che intendi mandare ai tuoi fan?
Io parlo per me, nel senso il rap è un mezzo, io mi sento oggi di essere un uomo, ho un figlio e quando scrivo cerco di essere un esempio. Però non tutti i rapper sono così, ognuno lo affronta a modo suo.

A livello politico ti sei battuto per la causa dello “Ius Soli” anche se come racconti nel libro, la tua esposizione mediatica ti ha procurato qualche problema. Che rapporto hai con la politica?
Ad oggi non credo più nella politica. Per un periodo della mia vita ero ancora un po’ illuso ma ora non ci credo nella politica, credo nelle persone che si danno da fare. Sicuramente la politica può essere un mezzo per migliorare le cose, ma in questo momento storico non è così. Oggi in Italia persone come me e penso anche come voi faticano a trovare qualcuno all’interno della politica che li rappresenti in modo adeguato. Le esperienze di cui hai parlato sono legate a internet; tutte le volte che mi sono esposto e ho difeso i ragazzi che nascono qui, che per me hanno gli stessi diritti di tutti gli altri, ho ricevuto feroci attacchi sul web. Dobbiamo anche contestualizzare il tutto a internet, il quale permette a persone codarde di esporsi veramente e di farlo in anonimato sulle pagine Facebook o sotto i video clip. Mi ci sono trovato dentro per un bel po’ di tempo ma poi mi sono fatto le ossa. Può succedere sempre, ad esempio mi è successo dopo la pubblicazione del libro e potrà succedere dopo l’uscita di questa intervista e questo ci fa capire che è tanto facile attaccare gli altri sul web.

Dopo l’uscita del tuo brano “Ius Music”, ti sei ritrovato in un vortice di critiche, minacce e insulti razzisti. A volte purtroppo il web provoca una violenza psicologica inimmaginabile. Data la tua esperienza, cosa consigli a chi si trova a vivere una situazione del genere?
Assolutamente! Quello che consiglio io è di staccarsi dal cellulare, dal pc e andate in campagna, andate in vacanza o fate qualcos’altro, ma staccatevi da internet perché non è la realtà. Vi posso testimoniare che tutte le volte che ho ricevuto degli attacchi feroci sono rimasti lì sul web, per strada io giro tutti i giorni senza problemi e non ho mai incontrato qualcuno che mi ha aggredito. Chi mi si avvicina è per farmi i complimenti o farsi una foto e ciò mi rende molto contento. Perciò la realtà è diversa per quello vi dico di spegnere il cellulare ed evitare di leggere le notifiche che arrivano.

Sei stato uno dei fondatori del Rome Zoo e della scena rap romana e italiana, insieme ai “Colle Der Fomento”. Cosa è cambiato oggi rispetto a 10-15 anni fa nel mondo del rap?
È cambiato il mondo non è cambiato solamente il rap. Il rap io lo intendo e lo vedo come una colonna sonora della tua vita. Quindi le cose che raccontavo negli anni 90 erano contestualizzate ad un periodo storico diverso. I ragazzi che oggi fanno rap riflettono quelli che oggi sono gli adolescenti, i giovani e non i rapper. A volte i cantanti rap sono presi da modello da parte dei ragazzi, quindi immaginatevi la vita di un ragazzo di 25 anni fa rispetto alla vita di un ragazzo di oggi, è cambiato tutto completamente così come il rap, che per alcuni versi finisce per essere più superficiale.
Si dice che il rap di oggi è commerciale mentre il rap di prima era più impegnato, in realtà c’è sempre stato in ogni periodo storico il rap più impegnato, il rap più commerciale, il rap più underground. Se passa il messaggio che il rap di prima era quello serio e quello di oggi è quello frivolo, devo accettare anche che tutto quello che usciva negli anni 90 era eccelso e ciò non è vero, perché anche a quei tempi c’erano tanti rapper scarsi e che lanciavano dei messaggi sbagliati. Quando si diventa adulti si fa più fatica a capire e a comprendere quello che fanno i giovani, io che sto iniziando ad andare verso i 40 anni probabilmente faccio sempre più fatica a comprendere i rapper di oggi che hanno 15-16 anni, anche se avere un figlio di 17 anni mi aiuta rispetto ad altri miei colleghi. Anche se ho nostalgia delle vecchie cassette e dei momenti in cui andavamo alle “gent” tutti insieme, mi piace che oggi c’è una nuova scena, a cui guardo comunque con curiosità per tenermi aggiornato.

La “Trap music” sta prendendo piede, invadendo anche spesso il mondo del rap. Cosa ne pensi di questo stile musicale?
Negli anni ho imparato anche ad accettare che ci sono altri generi musicali. La “trap” sono sempre delle rime sulla musica, anche se con altri ritmi e con altre sonorità sono sempre i pensieri di un ragazzo che li esprime su un tappeto musicale. Se questo ha un tempo di 90 bpm o di 150 bpm, rappi lento o veloce, con l’auto-tune (un effetto che rende la voce elettronica, ndr) o senza, se stai raccontando qualcosa di interessante, arriva. Quindi non faccio tanta differenza tra rap e trap, faccio la differenza tra la musica fatta bene che mi stimola e mi arriva e quella che non mi trasmette nulla.

Un’ultima domanda, hai altri progetti musicali o un nuovo CD in cantiere?
Assolutamente sì, sto scrivendo pezzi continuamente. Io ho ad oggi un archivio di almeno 25-30 brani che non sono mai usciti e che ho realizzato nell’ultimo anno. Mentre scrivevo il libro continuavo comunque a registrare perché per me il rap è questo: andare in studio, fare musica e divertirmi con i miei amici e collaboratori. A settembre/ottobre probabilmente chiuderò un progetto, selezionerò dei brani e li farò uscire. Ho prodotto tantissimo, per chi vuole può trovarli tutti su spotify e su itunes dove ho caricato circa 250 brani. Per me oggi fare uscire un disco è un modo per rimettermi in gioco, proprio per questo sto sperimentando e sto cercando di capire in che direzione andare musicalmente.

Allora ascolteremo il tuo nuovo cd quando uscirà! Grazie per l’intervista e per la disponibilità, a presto!
Grazie a voi, un saluto a tutti!

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