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La “democrazia” turca: repressione, bavagli e detenzioni

Sono passati circa dieci mesi dalla notte del 15 luglio 2016 quando alcuni gruppi delle forze armate turche hanno tentato di rovesciare il governo di Erdogan. Un colpo di Stato mai realizzato, dato che, già dopo poche ore, il leader turco era riuscito a ripristinare la situazione.
I giorni seguenti sono stati caratterizzati da arresti, detenzioni e licenziamenti, che hanno colpito principalmente avvocati, giudici e professori universitari. Le purghe “erdoganiane” non hanno risparmiato nessuno, e a farne i conti sono stati proprio coloro che da anni manifestavano opposizioni al regime, diventato troppo repressivo e antidemocratico.
Il tentativo fallito di colpo di Stato ha rafforzato la posizione del Presidente turco, che, approfittando dello stato di emergenza, è riuscito a spazzare e a neutralizzare gran parte dell’opposizione del Paese.
L’accusa è quella aver tentato di sovvertire il governo e di far parte di un’organizzazione, la FETÖ (Organizzazione del Terrore Gulenista), considerata organizzazione terroristica da Erdogan e a cui farebbe capo Fethullah Gülen (politologo e predicatore islamico), accusato dalle forze dell’ordine turche di essere l’artefice e l’ideatore del golpe.
A farne le spese, oltre che i professori e gli avvocati, sono stati anche i giornalisti e i professionisti che lavorano nei media. Da luglio ad oggi, i dati ci mostrano una realtà veramente preoccupante: circa 150 giornalisti sono stati arresati dopo l’ondata di repressione post-golpe, molte testate indipendenti e oltre 160 aziende del settore sono state chiuse.
La Turchia è il paese che arresta più giornalisti al mondo e proprio per questo il 2 maggio, a Piazza Montecitorio a Roma, è stato organizzato un sit-in per esprimere solidarietà alle vittime.
Alla manifestazione hanno aderito, oltre ad alcuni parlamentari di Sinistra Italiana, anche varie associazioni tra cui la Federazione Nazionale Stampa Italiana, Amnesty International Italia, Articolo21, l’Ordine Nazionale dei giornalisti del Lazio, Pressing NoBavaglio, che a turno hanno letto la lista dei 149 giornalisti detenuti nelle carceri turche.
A gran voce, si è chiesto di porre fine alle carcerazioni, alle querele e alle intimidazioni che colpiscono i giornalisti e di prestare maggiore rispetto per i diritti umani e la libera informazione. Un messaggio importante, per dare dignità e una voce a chi non può farsi sentire.
La repressione e la censura del regime turco si è abbattuta anche su un nostro connazionale, Gabriele del Grande, documentarista arrestato il 10 Aprile in Turchia vicino al confine con la Siria, dove si trovava per girare un documentario. Dopo circa due settimane (durante le quali è stato vittima di violazione dei diritti umani, dato che gli è stato impedito di contattare l’Ambasciata italiana e i suoi famigliari) è stato rilasciato senza ricevere alcuna spiegazione sul motivo della sua detenzione.
La situazione in Turchia è molto preoccupante e le misure antidemocratiche prese da Erdogan rischiano di trovare una legittimità a fronte dell’esito positivo del recente referendum costituzionale, che conferisce al Presidente enormi poteri di controllo sui tre poteri dello Stato: giudiziario, legislativo ed esecutivo.
Infatti Erdogan potrà nominare direttamente un certo numero di giudici e magistrati della Corte Costituzionale, sarà contemporaneamente il capo dello Stato e il capo del Governo dato che è stata abolita la figura del Primo ministro, nominerà i vice-presidenti e potrà sciogliere più facilmente il Parlamento. Queste sono solo alcuni dei poteri che il Presidente turco ha ottenuto in seguito al referendum, e che rischiano di spingere il Paese verso un Sultanato islamico radicale estremamente pericoloso per la democrazia e i diritti del popolo turco.
Tutto questo si palesa davanti le forze politiche e istituzionali europee che, per evitare di rompere i rapporti con uno Stato ricco di risorse energetiche come la Turchia e che comunque rappresenta uno “scudo” contro il terrorismo islamista e i flussi migratori, non manifestano esplicite opposizioni.
Proprio per questo, il messaggio lanciato ieri a Montecitorio ha puntato i riflettori non soltanto verso una questione tanto delicata quanto importante come la libertà di stampa, ma sopratutto sulle ripetute violazioni di diritti umani che da tempo si susseguono in uno Stato che mira ad essere nostro partner commerciale e politico.   

Youssef Hassan Holgado

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