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Intervista a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia

In occasione della pubblicazione del nuovo Rapporto 2016/17 sulle violazioni dei Diritti umani, abbiamo rivolto qualche domanda a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, per avere un’analisi più approfondita del testo.
Il nuovo Rapporto di Amnesty International 2016-2017 pubblicato due giorni fa, il 22 febbraio, è molto dettagliato, analizza ogni area del globo, ma soprattutto è molto preciso sui numeri e sulle statistiche enunciate. Prima di tutto le chiedo quali sono le sue considerazioni più importanti su quest’ultimo Rapporto?
“Le situazioni che erano già gravi nell’anno precedente sono rimaste tali e in alcuni casi sono addirittura peggiorate, non mi riferisco soltanto alle guerre che affliggono il Medio Oriente e l’Africa Subsahariana, ma anche al prodotto di questi conflitti, i rifugiati, che sono al centro di una crisi globale che non si vedeva dalla Seconda guerra Mondiale. I difensori dei diritti umani sono sempre più a rischio, abbiamo registrato uccisioni di attivisti in 22 paesi, cosi come a rischio sono anche i richiedenti asilo perché 36 paesi li hanno respinti verso i loro luoghi di partenza, violando le norme del diritto internazionale. Tutto questo clima in cui la condizione globale dei diritti umani peggiora, è alimentato anche dal disinteresse della Comunità internazionale, i cui principali leader sono stati nel 2016 interessati a cercare di conquistare l’elettorato attraverso campagne elettorali basate sulla manipolazione delle politiche identitarie, sulla xenofobia, sulla misoginia e sull’individuazione di capri espiatori come appunto gli stranieri, soprattutto per quanto riguarda quelli di fede musulmana negli Stati Uniti. Il 2016 è stato l’anno in cui il corso politico intriso di odio e xenofobia è diventato mainstream, probabilmente per cercare di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica dai fallimenti economici e sociali, seminando paura e insicurezza per ottenere consenso elettorale.”

Alla luce dei nuovi rivolgimenti politici in Occidente, è evidente la relazione tra l’avanzamento del populismo con la sua politica d’odio e le continue discriminazioni a danno della comunità LGBTI e agli immigrati, basti pensare a Trump, Marin Le Pen, la Brexit ma siamo sufficientemente tutelati da questa politica xenofoba e aggressiva che sta prendendo piede, soprattutto a livello culturale?
“Secondo me no. Dobbiamo considerare che l’Europa è stata ben prima di Trump o ben prima di Duterte nelle Filippine, il centro politico e culturale in cui è maturato questo discorso divisivo e questa retorica intrinseca di xenofobia. Le campagne elettorali, ad esempio quelle di Le Pen padre, prima ancora della figlia, o ad esempio quelle che hanno portato alla ribalta personalità politiche estreme come in Olanda e in altri paesi europei, risalgono all’inizio di questo secolo e non sono state evidentemente contrastate. Siamo di fronte a un biennio di campagne elettorali in cui rischiamo di avere al centro del discorso dei candidati che utilizzano quel tipo di retorica lì, che poi è diventata la retorica di Trump, con la quale ha vinto le elezioni. E quel che è peggio è che sta mantenendo le promesse fatte in campagna elettorale, però se tu prometti discriminazione e i primi provvedimenti che emani sono figli di quello che hai promesso, tutto ciò non va bene e va contrastato.”

Spostandoci in Medio Oriente, i numeri del nuovo Rapporto sulla Siria e lo Yemen sono disastrosi. Numeri che fanno veramente paura, in Siria ci sono 11 milioni di sfollati, sono morte circa 300 000 persone, ci sono state violazioni del diritto umanitario internazionale di ogni tipo. Secondo lei, c’è forse troppo immobilismo da parte della Comunità Internazionale per porre fine al conflitto siriano e giungere a una soluzione? E come mai Bashar Al Assad rimane ancora impunito nonostante tutti i crimini commessi?
“Beh, la risposta alla seconda domanda è molto semplice. Il mondo si è convinto che ci fosse un nemico peggiore di lui, il terrorismo dello Stato islamico. Questo è il motivo, oggi il mondo è concentrato su un altro tipo di problema e Bashar Al Assad, anziché essere di fronte al Tribunale Penale Internazionale, per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, è uno dei protagonisti insostituibili del dibattito di cosa ne sarà della Siria quando la guerra sarà finita. Questo conflitto dimostra proprio lo sciagurato periodo in cui si trova la Comunità internazionale, ogni soggetto che è intervenuto nel conflitto siriano ha portato dei problemi in più anziché una soluzione e se la guerra in Siria ha preso un andamento favorevole ad Assad. Gli attori internazionali che sono intervenuti, non lo hanno fatto con un piano ma con i bombardamenti, contribuendo a far salire il numero delle vittime degli attacchi indiscriminati e contribuendo a porre fine all’assedio di Aleppo in una maniera assolutamente disumana. Per quanto riguarda lo Yemen, ci troviamo nella stessa situazione, ancora di più questo viene visto come un conflitto periferico, in cui l’amica e alleata Arabia Saudita combatte anche per nostro conto e con le nostre armi contro gli Houthi, che sono visti come un’emanazione del governo iraniano.”

Come si colloca l’Italia nel contesto dei diritti umani, in confronto agli altri paesi europei? Manca ancora qualcosa a livello legislativo?
“Manca una cosa da 27 anni e 3 mesi, ed è una legge contro il reato di tortura, ed è un fatto scandaloso. Ora la questione è di nuovo all’attenzione del Parlamento ed è stato ricalendarizzato il testo, che era fermo in Senato da oltre un anno. Non abbiamo grandi speranze che esca un testo come si deve, c’è il rischio che esca un testo insufficiente rispetto a quello che prevedono le norme internazionali. Per altri versi se parliamo dei diritti dei rifugiati l’Italia è nel cuore dell’Unione Europea perché siamo dentro questo sistema di chiusura, di respingimenti, di accordi programmati o già firmati per fermare le partenze. È l’Europa in sé che manca, anche se l’Italia gioca il suo ruolo negativo in questo contesto.”

Come giudica la recente legge sul caporalato approvata dal Parlamento? È una legge che riesce a tutelare pienamente i diritti dei lavoratori immigrati dallo sfruttamento e dalle violenze subite?
“La legge in sé è buona, ma c’è un altro problema che ne inficia in parte la portata. Riguarda il fatto che il Governo non sta attuando la delega che il Parlamento gli ha affidato per abrogare il cosiddetto reato di clandestinità. Tutto ciò è strettamente connesso con la legge sul caporalato, perché fino a quando ci sarà una convinzione di illegalità e di irregolarità del lavoro migrante nei campi, è difficile che la persona che subisce soprusi da parte dei caporali possa avere accesso alla giustizia. Questo perché il migrante, nel momento in cui denuncia le violenze subite, corre il rischio che viene scoperta anche la sua irregolarità e ciò potrebbe comportare anche l’espulsione. A questo punto che vantaggio c’è?”

Come tutti sappiamo, Amnesty International si è battuta fin dall’inizio per la causa di Giulio Regeni, per chiedere verità e giustizia. Come si sono mosse le istituzioni italiane sulla questione, e cosa dovrebbero fare per cercare di avere giustizia il prima possibile?
“L’Italia ha scelto fin dall’inizio una strategia di equilibrismo, cercando di arrivare a conoscere la verità per Giulio senza compromettere le relazioni con l’Egitto. Una posizione di equilibrio che ha prodotto una sola decisione, ovvero quella di aver richiamato, temporaneamente, l’ambasciatore dal Cairo. La collaborazione con quest’ultima, per la ricerca della verità, è tardiva, parziale e rischia di produrre una verità di comodo, che individua in qualche funzionario di basso rango, il responsabile della tortura e dell’uccisione di Giulio Regeni. Tutto ciò in assenza di una catena di comando, come se Giulio fosse stato ucciso da persone che non avevano alcun legame gerarchico rispetto al Ministero dell’Interno o alla Presidenza dell’Egitto. Si parla da settimane del fatto che l’Italia vuole rimandare l’ambasciatore al Cairo. Per noi ciò non deve accadere è intempestivo e non porterebbe al risultato che cerchiamo, ovvero il raggiungimento della verità, una verità scomoda rispetto a quella raccontata.”


Ultima domanda, possiamo guardare questo 2017 con tante speranze e buoni propositi per quanto riguarda il rispetto e la tutela dei diritti umani nel mondo?
“Se guardiamo ai governi no, ma se guardiamo alla mobilitazione delle persone si! In Gambia ad esempio una mobilitazione immensa della società civile ha portato alla fine di 22 anni di dittatura e a nuove elezioni che hanno portato alla vittoria di un candidato, che ha una politica contraria rispetto a quella di Trump. Quindi è possibile avere esiti diversi ma non va delegato ai governi. Facendolo nella maniera più classica, ovvero offline e non limitarsi a pensare che si può fare contrarietà facendo un click col mouse su qualche post. Quello che di positivo si può ottenere lo si fa mettendosi di traverso, correndo negli aeroporti come negli Stati Uniti e partecipando alle manifestazioni in difesa dei diritti umani e contro il razzismo.”

Youssef Hassan Holgado

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