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Caschi Bianchi, eroi contemporanei

I Caschi Bianchi si sono formati nel 2013 per apportare un aiuto umanitario alla popolazione, nel corso della guerra civile siriana, che dal 2011 ad oggi ha provocato 400mila morti, tra azioni di bombardamento e attentati. Tale associazione conta oltre 2900 volontari civili, distribuiti nei 120 centri sparsi in tutto il territorio siriano, rappresentando la più grande organizzazione della società civile fuori dal controllo governativo.
Qualche giorno fa su Netflix, la nota piattaforma di Serie TV e film, è stato caricato il documentario che racconta la vita di questi volontari, candidati, tra le altre cose, a premio Nobel per la pace.

Ma chi sono i Caschi Bianchi?

Tutti li definiscono come eroi: come biasimarli? Sono i primi che si recano sul luogo del bombardamento per cercare di salvare i corpi dalle macerie, con il rischio di altri attacchi successivi che potrebbero colpirli. Il loro motto è “Salvare una vita è come salvare l’intera umanità” e di vite ne hanno salvate molte: l’ultimo dato aggiornato indica ben 60 mila individui tirati fuori dalle macerie.
Tra i volontari troviamo fabbri, fornai, artigiani. Uomini qualsiasi che si sono lasciati tutto alle spalle per aderire alla causa e aiutare il proprio popolo.
I Caschi Bianchi sono completamente disarmati e le loro azioni si fondano su tre principi cardine: umanità, solidarietà e imparzialità.
Imparzialità prima di tutto, infatti spesso è capitato che questi ragazzi abbiano salvato le vite dei militari del regime di Al Assad, nonostante siano considerati dei nemici: “Quando salvo la vita di qualcuno, non mi importa se esso sia un amico o un nemico. Quello che mi importa in quel momento è che quella persona potrebbe morire”. Queste sono le parole di Abed, uno dei tanti volontari.

caschi bianchiIl ruolo delle donne

Un importante ruolo umanitario è svolto anche dalle donne. Infatti, ad un anno dalla fondazione hanno aderito all’organizzazione 78 donne, che hanno formato due squadre di soccorso. In molti casi esse rappresentano l’unica speranza per molte donne o ragazze intrappolate tra le macerie, dato che nei settori più conservatrici della società siriana, capita che le donne rifiutino il soccorso degli uomini.

L’immunità negata ai Caschi Bianchi

Il leader dei Caschi Bianchi è Raed Al Saleh, convocato lo scorso anno dalle Nazioni Unite alla riunione del Consiglio di Sicurezza. Durante il suo intervento, Raed ha denunciato l’esercito siriano, accusandolo di utilizzare bombe chimiche e altre armi illegali. Raed ha parlato inoltre dell’immunità da attacchi e da bombe di cui godono le squadre di ricerca e di soccorso in tutto il mondo. Immunità che non è concessa ai Caschi Bianchi, vittime spesso della strategia militare siriana “double-tap”, che consiste nel bombardare lo stesso punto per due volte, a di stanza di qualche minuto, per attaccare anche i soccorritori che si recano immediatamente sul luogo per aiutare le vittime.
Raed accusa il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, l’organo responsabile del mantenimento della pace internazionale, di negligenza e immobilità, poiché incapace di far rispettare le sue raccomandazioni e di agire con azioni coercitive per porre fine a questo continuo massacro.
Purtroppo dal 26 giugno del 2015, data in cui il leader del SCD ha pronunciato il suo discorso dinnanzi le Nazioni Unite, poco o nulla è cambiato. Le bombe continuano a cadere sopra le teste dei civili, migliaia di città vengono rase al suolo, il numero delle vittime, dei feriti e degli sfollati aumenta. E a tutto ciò non c’è ancora una fine. Ma i ragazzi dei Caschi Bianchi sono “sempre ottimisti sul fatto che il futuro sarà migliore, e che un giorno la giustizia prevarrà”.
D’altronde come dice Abu Hamid “senza speranza che senso ha la vita?”

Youssef Hassan Holgado

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