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Storia del poliziotto che scoprì lo scandalo della Terra dei Fuochi

Roberto Mancini, commissario autorevole e tenace, muore il 30 Aprile del 2014 all’età di 53 anni dopo una lunga malattia. La diagnosi che gli era stata pronosticata era un cancro al sangue provocato dai veleni e dalle tossine respirate nei continui sopralluoghi, rilievi e ispezioni, durante le sue indagini sul traffico illecito dei rifiuti della camorra.
Intorno ai primi anni 90, al poliziotto della Criminalpol viene commissionata un’inchiesta sulle eco-mafie. Inizialmente il compito sembra irrilevante e di poco conto: “perché indagare sulla spazzatura?” Ma dopo pochi mesi, verrà a galla un sistema terribilmente inquietante.
Nel 96, consegna un’informativa alla Procura di Napoli in cui viene illustrato il sistema mafioso della “Terra dei Fuochi”.
Non si sa perché, ma quel fascicolo consegnato da Mancini e dalla sua squadra non verrà mai preso in considerazione. Viene messo da parte e verrà ripreso soltanto nel 2011 quando il Pubblico Ministero Alessandro Milita, deciderà di dar vita a un processo per disastro ambientale e inquinamento alle falde acquifere, con imputato principale Chianese Cipriano, considerato il responsabile principale dell’intero sistema dello smaltimento illecito dei rifiuti.

Il sistema della terra dei fuochi

Mancini e i suoi collaboratori erano riusciti a mettere a nudo i legami esistenti tra alcune aziende del nord e la camorra. I boss camorristi, infatti, venivano pagati a seconda di quanti chili di rifiuti riuscivano a smaltire sottoterra: un sistema che ha distrutto, negli anni, l’intero ecosistema dell’area che si estende dal Garigliano (fiume che segna il confine tra Lazio e Campania) al Vesuvio.
Le dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone hanno evidenziato come quest’area, denominata “Terra dei fuochi” sarebbe presto diventata una discarica e un inceneritore a cielo aperto, e che oltre ai normali rifiuti venivano smaltiti addirittura rifiuti tossici, come scarti industriali e scorie nucleari.
A pagarne le conseguenze sarebbero stati i cittadini campani, ma non solo, dato che i prodotti coltivati su queste terre vengono commercializzati e venduti in tutto il Paese.

Un servitore dello Stato

Nel 2002, dopo la diagnosi della malattia “per cause di servizio”, Mancini riceve dallo Stato un indennizzo di soli 5 mila euro. Purtroppo, il poliziotto non è stato l’unico ad aver pagato con la vita l’importante lavoro svolto (che anticipò di ben 15 anni lo scandalo della “Terra dei Fuochi”), infatti anche altri colleghi sono morti o hanno contratto il cancro per colpa di quei veleni respirati, e, per tutti, lo Stato ha riservato un atteggiamento omertoso, osteggiando, a volte, la messa in atto di un processo vero e proprio. Massimo Scalia, presidente della commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti (creata nel ‘97 e alla quale aderì anche Roberto Mancini) , afferma che “tutti sapevano: i nostri documenti andavano ai ministri competenti, e agli assessori o ai presidenti di regione dell’area interessata”, ma nessuno ha mosso un dito.  Oggi, a distanza di due anni dalla morte, il prezioso lavoro svolto da Mancini sta riuscendo a sensibilizzare l’opinione pubblica, tanto che è stata portata a termine una petizione per chiedere un giusto risarcimento e riconoscimento per l’impegno del poliziotto. Inoltre è di pochi giorni la notizia della pubblicazione di una “biografia-inchiesta” dal titolo “Io, morto per dovere” (edito da Chiarelettere) scritto da Nello Trocchia e Luca Ferrari, che racconta la storia adolescenziale, i primi anni in polizia e l’importante indagine della terra dei fuochi di Mancini, con la speranza che possa mantenere viva la memoria di questo grande servitore dello Stato.

                                                                                                              Youssef Hassan Holgado

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