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1 Maggio – la retorica e la lotta

L’arte della retorica

Il sole non è ancora alto in cielo, quando arrivo a Pozzallo. Sono le 9 di mattina ed il mare è calmo. Il lungomare, affollato di bandiere e palloncini colorati, sembra una ricostruzione di via della Conciliazione . Alcuni gruppi sono appollaiati sui banconi dei bar in attesa della colazione; altri, invece, addentano un panino al prosciutto.
Una breve camminata e sono già in piazza della Rimembranza, dove è allestito il palco, già abbastanza piena. “Siamo qua dalle 8” mi dice una signora con il cappellino blu della UIL.
Alle 9.30 inizia la manifestazione. Il palco comincia a riempirsi di donne e uomini che salutano e chiacchierano. Qualcuno dei partecipanti utilizza i fischietti, ma il presentatore li ammonisce: “non usate fischietti, ma sventolate le bandiere”. E dal palco, diverse persone iniziano ad invogliare i propri manifestanti a sventolare i propri colori. Viene invitato al podio “il grande amico e maestro Miko Magistro”. La folla, per un momento, rimane in silenzio chiedendosi chi sia. “Un grande applauso per Miko Magistro, pozzallese di nascita, che ha recitato nei più grandi teatri d’Italia”. Ne parte uno timido e pigro. L’attore prende la parola e legge, con il pathos che solo i grandi attori sanno mettere nelle proprie performance, la lettera di Samir, una poesia di Alda Merini e un pezzo tratto dal libro “Uomini di borgata” di Michele Giardina. “Ringraziamo l’amico Magistro che ha recitato i testi in modo magistrale” è stata la battuta di Giovanni Avola, segretario provinciale della CGIL, che introduce l’intervento del Sindaco di Pozzallo, Luigi Ammatuna.

“Anche noi – afferma il primo cittadino – abbiamo pagato un prezzo alto, forse anche più di Lampedusa, ma nessuno se ne accorge”. Un signore accanto a me, dando un colpo con il gomito ad un amico, riconosce che “c’avi ragghiuni, ma ca ci siemu sulu niautri (ha ragione, ma qua ci siamo solo noi, ndr)”. Alla fine dell’intervento, colmo di retorica, del Sindaco Ammatuna, un tecnico prende il microfono e chiede di non sventolare le bandiere “altrimentila RAI non può trasmettere le immagini in diretta. Se qualcuno è sordo lo ripetiamo pure più forte” ed alzando il tono di voce, ribadisce l’informazione di servizio.

Il comizio

Alle 9.40 suona l’inno di Mameli ed il patriottismo puro degli uomini e delle donne sul palco moltiplica il numero delle foto e dei selfie. È trascorsa un’altra ora (con gli interventi di tre lavoratori del ragusano affiliati alle tre sigle sindacali) prima che avesse inizio il comizio dei tre segretari generali.
Il primo a salire sul podio è Carmelo Barbagallo, segretario generale della UIL. Dalla destra della piazza, un gruppo di manifestanti inizia a protestare perché c’è troppa gente sul palco che blocca la visuale verso il podio. Viene anche chiesto (invano) l’intervento di un carabiniere che presidia l’area il sotto palco.
Nel frattempo, il segretario Barbagallo chiede un minuto di silenzio per i  morti del Mediterraneo e del Nepal. Le urla dei manifestanti contro chi gli impedisce la visuale si fanno più forti, finché non interviene un organizzatore che chiede di rispettare il minuto di silenzio. Qualcuno, però, si è spostato ed ora si intravede il podio. “Ci hanno ascoltato perché c’era il minuto di silenzio” è il commento di una signora, orgogliosa del risultato ottenuto.
“L’immigrazione è un affare – afferma il segretario della UIL – per i nuovi schiavisti, per il lavoro nero, per quella ‘banda larga’, che non ha niente a che fare con le questioni tecnologiche, ma che riguarda l’operato di gruppi talmente larghi da sconfinare sia a destra che a sinistra”. La battuta suscita qualche risata; Barbagallo fa un focus sul lavoro. “Forse eravamo distratti – ammette – quando facevano le leggi sul precariato, ma ora non possiamo più distrarci. Stanno reinserendo il lavoro ad ore e questo è un pericolo, perché così facendo i fast food, ad esempio, potranno chiamare, di nuovo, gli studenti a lavorare ad ore senza avere tutti i diritti che gli spetterebbero”. Dopo la chiosa sulla scuola (“bisogna assumere i precari della scuola per decreto”), si alza il coro “lavoro-lavoro” dalla piazza. Sul palco, intanto, è in atto la staffetta tra Barbagallo della UIL ed Annamaria Furlan, segretario generale della CISL. “Il trattato di Dublino va cambiato: quale egoismo dell’Europa, che non riconosce il diritto alla dignità di queste persone che scappano da guerre e persecuzioni? Dobbiamo aprire le braccia ai profughi per costruire la pace: è questa la missione dell’Europa.

Ci siamo dimenticati perché l’abbiamo fatta?”. Questo l’appello accorato del segretario della CISL, che prosegue sul tema della corruzione: “bisogna fare una grande guerra alla corruzione ed alle criminalità organizzate. La corruzione demolisce il lavoro, unico motore di una nuova moralità”. Infine, al grido di “va rottamata la riforma Fornero”, sventolano di nuovo le bandiere. E la RAI non può riprendere.
L’ultimo comizio è del segretario della CGIL, Susanna Camusso, che lancia diversi slogan: “A chi dice di affondare i barconi e sparare, noi diciamo che siamo il Paese che ripudia la guerra. Dobbiamo pretendere dall’Europa i corridoi umanitari e il diritto all’asilo comunitari, perché non possiamo fermare la storia. Chi invoca la paura, sono gli stessi che si girano dall’altra parte quando si denunciano i caporali e che pensano che si possa creare l’occupazione per decreto”. La stoccata al Primo Ministro, Renzi, prosegue: “Cosa c’è di buono nella buona scuola se si riduce il diritto allo studio?”. Ed ancora “bisogna capire che il problema non è la governabilità, che la smetta di parlare di aria, ma torni alla Costituzione!”.

L’appuntamento è per il 5 maggio, per lo sciopero della scuola. “Il cambiamento non può cancellare l’uguaglianza, i diritti, la dignità. Il cambiamento può partire solo da una parola: lavoro”. Terminato il comizio, i tre segretari si sono diretti verso una piccola piazza che si affaccia sul mare ed hanno reso omaggio ai morti del Mediterraneo con una corona di fiori. Accanto a me, quattro ragazzi di colore (forse del Bangladesh) si fanno una foto avvolti dalla bandiera della CGIL, sullo sfondo il mare.

Mar Mediterraneo o Lago di Tiberiade?

Tornando verso piazza della Rimembranza, incontro Giorgio Abate, coordinatore provinciale di Libera che mi invita a partecipare ad un momento di preghiera interreligiosa sul sagrato della Chiesa di Santa Maria di Portosalvo.
In cerchio, sul piccolo sagrato, si è radunato un piccolo gruppo di circa 30 unità, tra cui il Parroco della Chiesa ospitante, il Pastore della Chiesa Metodista di Scicli, il “vice-Imam” della Moschea di Ragusa (l’Imam sapeva che l’orario era fissato per le 12, mentre gli altri rappresentanti hanno deciso di anticipare di qualche minuto). Un elicottero sorvola, a bassa quota, il piccolo raduno e disturba gli interventi dei tre rappresentanti religiosi, che si concentrano sul tenere presente “che siamo tutti fratelli e che tutti, indistintamente dal credo religioso, vogliamo costruire la pace”. Dopo, strette le mani di chi ci stava accanto, nel silenzio ciascuno ha, intimamente, espresso la propria preghiera. Un bimbo, seduto alla mia destra, lascia volare un palloncino. Porta la mano davanti la bocca e, con gli occhi sgranati e pieni di stupore, dice al padre “Come facciamo? Ora come facciamo?”.

Questo è l’interrogativo che rimbomba nella mia testa dopo una giornata densa di retorica di novelli Seneca il Vecchio, che spesso rischiano di scadere nel ridicolo di certe affermazioni; e di perbenismo da parte dei paladini di giustizie di carta, più intenti a dimostrare di esserci stati che ad aiutare costantemente gli uomini e le donne impegnati ogni giorno nella sfida che la storia sta lanciando ai nostri territori. Mi tornano, allora, in mente le parole dell’ormai Cardinale Montenegro: “noi cristiani abbiamo così tanto pregato per il Terzo Mondo, che ora il Signore ce li sta mandando tutti per dimostrare che la nostra fede sa farsi impegno concreto nelle difficoltà e sofferenze di ogni giorno”.

L’impegno e la lotta

“Le arance, i pomodori che ogni giorno mangiamo sulle nostre tavole hanno un retrogusto particolare. L’avete sentito? È il retrogusto degli stupri delle donne migranti a Vittoria e Pedalino; del sudore e della schiena spezzata di giovani migranti sfruttati nelle serre. L’avete sentito?”.
A parlare è Pippo Gurrieri, noto attivista ibleo, salito sul suo sgabello verde in Piazza Pola, a Ragusa Ibla. Come ogni anno, il gruppo anarchico di Ragusa ha organizzato il suo primo maggio nella cornice barocca di Ragusa Ibla e come ogni anno, alle 19, Pippo Gurrieri ha tenuto il suo comizio, durato più di un’ora.
Sono arrivato in piazza alle 19.30. Pippo già parlava davanti ad una ventina di persone. Le sue lotte sono molte, condotte sempre in prima linea: l’amianto, il lavoro, la smilitarizzazione, i trasporti, l’ambiente…
Nei 30 minuti che ho seguito del suo intervento si è concentrato sulla resistenza al Muos di Niscemi, sulla cementificazione di Ragusa e la nuova legge per l’edilizia nel centro storico e sulla sua amata ferrovia (“l’unica infrastruttura stabile che abbiamo dalla metà del 1800 e che è stata trascurata in una maniera incredibile. C’è voluto il crollo dell’autostrada Catania-Palermo per ricordarsi della ferrovia e mettere i treni veloci”).
“Finalmente è stata dichiarata abusiva ed illegale la base di Niscemi, anche se il Ministro della Difesa ha presentato ricorso (leggi qui). Centinaia di giovani e meno giovani, come me, hanno combattuto il gigante statunitense e, finora, stanno vincendo contro chi impone sistemi di guerra a casa degli altri. Che un tribunale ci runa ru tumpulati (da due schiaffi, ndr) agli americani è sempre una cosa bella, ma non possiamo abbassare la guardia”. Questo il sunto delle sue parole (anche molto più forti) riguardo la vicenda del sistema satellitare Muos. “Dicono che il Muos ci serve per difenderci dai terroristi, dall’Isis e compagnia bella, ma solo una Sicilia smilitarizzata, senza armi è innocua e può rendersi avamposto per la costruzione della pace”.
Il comizio prosegue  con la cementificazione di Ragusa. “La storia è molto lunga – si ferma per bere un sorso d’acqua – ed inizia con il piano regolatore del 1970”. Fatto il resoconto di quanto accaduto fino ad oggi (“paghiamo tasse e servizi per una città di 120 mila abitanti, ma noi siamo solo 71 mila compresi i migranti”), le parole dell’attivista ragusano si posano sulla nuova legge fatta approvare dall’ex Sindaco, Nello Dipasquale. “Compagno Nello (l’ex Sindaco del centrodestra ora è entrato nel circolo “Rinascita Democratica” del PD locale) ha fatto in modo di stanziare diversi milioni di euro per l’edilizia nel centro storico. L’obiettivo è ripopolare il centro storico facendo cooperative edilizie: insomma, una volta che la città non può più espandersi verso fuori, buttiamo a terra le case vecchie e che non hanno un valore artistico ed architettonico per fare altre cooperative nel centro storico e riportare i ragusani in centro. Poi magari portiamo via i migranti dal centro storico, perché poi ni fanu ‘mpacciu (ci danno fastidio, ndr). Tanto l’unica cosa che conta a Ragusa è buttare colate di cemento! Un’assurdità”. Ciò che però mi sembra più assurdo è lo stupore dei passanti che, curiosi, si fermano qualche minuto ad ascoltare. Un uomo, con una folta barba, mugugna appoggiato ad una ringhiera ed una coppia sorride dei modi e dei toni usati da Pippo Gurrieri e poi, leccando il cono gelato, si incamminano verso la villa. L’indifferenza nei volti è quella di chi non vuole più ascoltare o, peggio, di chi pensa che la verità gridata da uno sgabello verde appartenga solo ai folli.

Simone Lo Presti
Foto di Chiara Moltisanti

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