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Nemmeno a Ragusa le mafie tacciono

“L`analisi della situazione economico sociale dell’ambiente in cui si vive sembra, in un primo momento, estremamente facile, addirittura superflua. Ma, come è vero che la coscienza che si ha del proprio stato personale è in genere fallace, falsata com’è da condizionamenti interni ed esterni di ogni tipo è altrettanto vero che egualmente falsa risulta, nella maggior parte dei casi, la coscienza della realtà economico-sociale in cui si vive.”

Giovanni Spampinato

L’isola più vicina all’inferno

Se la Sicilia è un’isola dannata, un’isola più vicina all’Inferno di altri luoghi, per il suo intrecciarsi di emergenza immigrazione e criminalità organizzata dilagante, la città e la provincia di Ragusa si trovano idealmente ancora più vicine all’Ade del resto della Sicilia, per essere ancora più a Sud di tutto il resto dell’Isola. Ragusa, un po’ come il suo estremo opposto (la provincia di Messina), è stata spesso e volentieri soprannominata, all’interno del contesto mafioso infiltratosi durante i decenni nella Sicilia, la provincia babba. Ma di babba in questo senso (termine siciliano utilizzato per dire “stupido”, ma anche “insignificante”), questa provincia ha ben poco. Proiettili, purtroppo, sono volati anche per le vie di questa provincia, lasciando in ernomi pozze di sangue numerosi incolpevoli cadaveri, meno “eccellenti” e più innocenti, talvolta, che altrove. Cosa Nostra e la costola-criminalistica distaccatasi da essa, la Stidda, hanno bagnato di sangue anche questa meridionale tra le meridionali province. Vogliamo, per quanto possibile, ricordare qui di seguito alcune fra le vittime di Mafia che hanno lasciato la loro vita nei meandri di questa turbolenta e manifesta “invisibile” criminalità ragusana. Anche perchè Ragusa non ha dimenticato le vittime di questo inutile e cruento spargimento di sangue ultradecennale, organizzando una commemorazione giorno 19 luglio, data simbolicamente significativa per la ricorrenza della strage di via d’Amelio a Palermo.

Cadaveri più innocenti che “eccellenti”

La macabra danza di morte e carrellata di vittime innocenti inizia presto, come del resto altrove, anche nel ragusano. Era da poco finita la guerra e si era già nel turbolento periodo del cosiddetto biennio rosso ed era iniziato quello spaventoso periodo di anarchia che avrebbe portato al funesto avvento del ventennio fascista in Italia. Giuseppe Compagna era un consigliere comunale socialista di Vittoria. In una di quelle che poi diverranno le famose spedizioni punitive, il 29 gennaio 1921, un contingente di nazionalisti, fascisti, con l’accompagnamento del gruppo mafioso locale, Compagna verrà assassinato a colpi di pistola: il circolo verrà devastato e il suo corpo rimarrà senza vita a terra. Fu ufficialmente il primo a morire per le mani dei mafiosi nel ragusano. Il secondo caso che citiamo è oramai tristemente famoso nella città di Ragusa. Il giornalista dell’Ora e dell’Unità, Giovanni Spampinato, freddato senza pietà il 27 ottobre 1972 all’interno della sua auto sotto una interminabile pioggia di proiettile. Già in passato abbiamo dedicato un articolo e un intero spazio di approfondimento sulla rivista Reloaded per ricordare Spampinato. Crediamo però che vada detto qualcos’altro anche in questa sede. Giovanni fu giornalista a tutto campo, uno di quelli che si interessò alle trame nere della strategia della tensione e ai casi scomodi di criminalità mafiosa che negli anni ’70 incancrenivano il belpaese dall’interno. Arriviamo adesso (quasi) ai giorni nostri. Uno dei simboli delle vittime “innocenti” e di tutta questa infinita assurdità chiamata “sistema mafioso” porta il nome di Andrea Castelli. Il 5 luglio 1993, questo ragazzo di soli ventitre anni è assassinato brutalmente dal latitante mafioso Filippo Belardi, che ne aveva molestato la sorellina. L’unico torto di Andrea era stato quello di difendere la bambina dalle prepotenze del malavitoso. Belardi, che era un affiliato alla cosca mafiosa dei Madonia, era in piena libertà a godersi le vacanze in un centro balneare nel ragusano: una latitanza alla luce del sole, dunque. La mafia, come si sa, non ha certo paura di aprire il fuoco in luoghi pubblici: com’è accaduto per la strage di San Basilio, a Vittoria, il 2 gennaio del 1999. Un vero e proprio commando criminale fa irruzione in un bar di periferia del paese, sparando all’impazzata. A morire sono ancora una volta due innocenti, scambiati per due boss di spicco della stidda. Sono Salvatore Ottone e Rosario Salerno, trovatisi entrambi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Muoiono anche tre affiliati della stidda nell’agguato sferrato da esponenti di Cosa Nostra a cui l’intraprendenza della mafia autoctona ragusana non andava granchè a genio. Spiccano però quei due nomi innocenti, altri due cadaveri trovatosi all’interno di faide “eccellenti” di cui non sapevano probabilmente né motivo né origine.

Questi quattro casi che abbiamo sono l’emblema di come anche una provincia tendenzialmente babba possa sprigionare una escalation di sangue sfrenato. La mafia ha affondato le sue radici anche dove meno ce lo potremmo teoricamente aspettare. Il prossimo 19 luglio arriverà l’ennesimo anniversario che ci ricorderà ancora quanto siamo lontani dall’estirpare questa piovra. Lottare contro le mafie, comunque sia, non deve essere un optional, ma deve essere marchiato a fuoco nel DNA di ognuno di noi. Ragusa è un esempio in scala di una situazione sconcertante che coinvolge la società intera che noi occupiamo. Nessuno di noi è innocente, nessuno deve continuare a voler rimanere colpevole.

Simone Bellitto

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