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Il Limbo dell’immigrazione in Sicilia

“Su tutte le difficoltà riguardanti l’immigrazione, dico: diamo prima l’accoglienza e poi le difficoltà le affronteremo”.

Andrea Gallo

Porte aperte?

Le problematiche relative all’immigrazione ed al calvario a cui sono sottoposte migliaia e migliaia di anime ogni giorno, in transito fra un continente e l’altro, non smettono mai di essere attuali. A fine marzo, nuove avvisaglie di una probabile congestione nella zona meridionale della Sicilia hanno iniziato a favorire un’atmosfera di palpabile tensione. Augusta, in provincia di Siracusa, in quei giorni, è stata teatro di consistenti difficoltà nel gestire situazioni emergenziali, fra migranti arrivati in condizioni di precaria salute e bambini necessitanti di attente cure, che hanno spinto la città quasi al collasso. Questioni del genere hanno, per così dire, “stimolato” l’attenzione parlamentare. Infatti il 29 marzo, il ministro Angelino Alfano, in visita a Siracusa, ha dichiarato il suo sostegno alla cittadina siciliana e un impegno preciso per aiutare il luogo a superare questi accadimenti. Questo accadeva a fine marzo. A metà aprile possiamo chiaramente sostenere che la situazione in questi luoghi è nettamente peggiorata, sia per i migranti sia sotto il livello di capacità di sostenere l’emergenza da parte delle strutture locali. Solo nella notte fra il 7 ed il 9 aprile sono stati dirottati verso il porto di Augusta, infatti, all’incirca 4000 migranti. Diversi barconi intercettati nelle acque e migliaia di poveri derelitti sballottati da diverse parti del Sud ed ammassati verso lo stesso posto.

Risoluzione?

Questa è ovviamente la situazione relativa alla settimana scorsa. C’è una tenue speranza di poter cambiare le cose attuali? Non sembra. Anche perché nel Canale di Sicilia la situazione rispetto al versante siracusano non è stata per nulla migliore. Porto Empedocle è stata letteralmente bersagliata dagli arrivi nella prima settimana di Aprile: all’incirca tremila unità di migranti sono giunte nella località, con le strutture di accoglienza che sono andate letteralmente in tilt. A quanto pare, inoltre, il grosso degli arrivi ancora non è arrivato. La gravità della situazione intanto aumenta e, in Parlamento, l’unica risposta risolutiva al momento sembra quella del solito dibattito senza alcuno sbocco. Alcune voci isolate, in realtà, provenienti una volta tanto dall’area democratica, provano ad alzare la voce per ottenere risposte concrete. Pippo Zappulla e Tonino Moscatt hanno in diversi interventi sollecitato l’azione del governo in direzione di nuovi modelli di accoglienza e di un alleggerimento delle neglette politiche di respingimento coatto utilizzate finora. La tragedia nella tragedia, però, è accaduta qualche giorno fa al centro di prima accoglienza Umberto I di Siracusa. Un giovane migrante di 29 anni, infatti, è deceduto nella sede del centro dopo tre giorni di permanenza per un arresto cardiaco. Manifesto della palese noncuranza e negligenza con la quale sono trattati i poveri espatriati arrivati nel nostro paese. In merito è stata sollevata un’interrogazione parlamentare da parte del deputato PD Khalid Chaouki, coordinatore dell’intergruppo cittadinanza e immigrazione. Probabilmente un altro appello alla chiarificazione su un ennesima faccenda sporca ed oscura che cadrà nel vuoto. Nonostante gli appelli (?) del nostro Ministro dell’Interno e le tanto agognate risoluzioni preventivate, infatti, la Sicilia rimane nel limbo. I migranti, nel frattempo, continuano ad arrivare e a morire.

Simone Bellitto

One Comment

  1. Gianni Sartori Gianni Sartori 28/05/2014

    FRONTIERE DA VARCARE
    (Gianni Sartori)
    Tijuana come Lampedusa. Emblema della linea che separa i sommersi dai salvati, la frontiera.
    Ufficialmente circa 3000 all’anno, ma probabilmente molte di più le donne latino-americane scomparse nel nulla alla frontiera tra Messico e Stati Uniti. A Tijuana una misteriosa “industria dei video pornografici” realizza DVD con immagini di violenza sulle donne. Un’imprenditoria mafiosa che trae profitto dalla spettacolarizzazione e mercificazione della violenza. Marketing che si mescola con il sadismo. Ne ha parlato Azzurra Carpo nel suo Romanzo di frontiera (Ed. Albatros), senza concedere nulla ai particolari raccapriccianti talvolta evocati da inchieste e trasmissioni televisive.
    “Ho avuto la fortuna di crescere sulle frontiere -racconta l’autrice- ero migrante già da bambina, in Perù, in Brasile, dove i miei genitori lavoravano con la cooperazione internazionale”. Anche se, precisa “migrando dal Nord al Sud ho viaggiato con il tappetto rosso”. Accolta, non additata. Ha incontrato persone che “attraversavano le frontiere come i personaggi di questo libro, conoscevano i nomi dell’esclusione, dell’embargo, i muri e i limiti della nostra società”. In anni recenti, la giovane scrittrice ha studiato al confine tra Usa e Messico potendo “conoscere i due lati della frontiera – da El Paso a Ciudad Juarez, da San Diego a Tijuana – dove nessuno sa immaginare il futuro, ma scorre l’adrenalina della speranza”. Un aspetto affascinante, l’”ibridismo linguistico e gergale”. Il migrante apprende le parole essenziali, per poter sopravvivere e farsi riconoscere come essere umano.
    A livello globale la principale vittima resta la donna. Nei conflitti, quella contro le donne è guerra aperta e lo stupro – in Bosnia, in Congo, in Kurdistan o in Libia – viene usato come arma.
    Una strategia, denuncia l’autrice “per distruggere il cuore del nemico, degradando simbolicamente il corpo della donna”. Così nelle frontiere, dove il corpo della donna migrante è il più vulnerabile, il più esposto allo sfruttamento, al traffico clandestino, alla morte. Lungo il Muro della vergogna che separa Messico e Stati Uniti, ogni notte migliaia di donne come la protagonista Leonor “devono gettare il loro corpo al di là della barriera per poi andare a riprenderselo”. E non è scontato che possano ritrovarlo. La maggior parte dei migranti che raggiungono Tijuana proviene dall’America centrale. Sono guatemaltechi, salvadoregni, cubani. Senza documenti, cercano di racimolare il denaro necessario per pagare i trafficanti lavorando in fabbriche dalle condizioni durissime. Il trafficante (il coyote) conosce i punti in cui è possibile passare, superare muri e fili spinati. Accompagna i migranti per qualche chilometro e poi si devono arrangiare. Nel deserto, molti non sopravvivono alla disidratazione o al freddo. Altri soccombono a causa di serpenti e scorpioni.
    Per l’autrice ognuno di noi dovrebbe “aggiustare il mondo con quello che sa fare, sporcarsi le mani con allegria e umiltà perché questo sprigiona energie positive”. Uno dei protagonisti di Romanzo di frontiera, Ben, sfida l’embargo per affinare le corde dei vecchi pianoforti cubani. Perché “accordare un piano è un po’ aggiustare il mondo, aprendo fessure nelle frontiere”. Anche in quelle dell’ideologia o del razzismo.
    Gianni Sartori

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