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La fuga del pifferaio

C’era una volta una città molto grande, abitata da gente di ogni genere e colore: vecchi, giovani, bianchi, gialli, neri, gente onesta e ladri, gran lavoratori anche loro, ma con qualche problema con i supremi giudici. Questi erano dei personaggi strani: altissimi e con dei nasi adunchi da farli assomigliare a delle streghe. Vestivano spesso con delle toghe color rosso. In questa città si viveva bene. O almeno ci si provava: i bambini andavano a scuola, i genitori arrotolavano le maniche e andavano a lavoro, gli anziani si incontravano spesso nei bar o nei circoli a farsi compagnia. Tutto sembrava filare liscio.

Il problema dei topi e l’uomo del nord

Ad un tratto, però, una enorme colonia di topi invase la città, rosicchiando ogni cosa. I cavi elettrici, il cibo sugli scaffali, i libri di scuola, ogni cosa capitava sotto i loro denti, veniva distrutta. I cittadini non sapevano più come fare. Il sindaco si mise le mani ai capelli. “Siamo rovinati” disse. I topi, nel frattempo, avevano preso il sopravvento. Erano diventati i nuovi padroni della città. Le persone, spaventate, si rinchiudevano in casa, cercando di adattarsi con quel che potevano. I bambini non andarono più a scuola e gli anziani si trovarono, d’un tratto, soli.
Il sindaco, che intanto era diventato calvo per la disperazione, tentò ogni rimedio. Chiamò subito degli esperti cacciatori di ratti, dei maghi e acquistò cento gatti, ma i roditori, ridendo sotto i loro baffi, non sparirono. Anzi, sembrava quasi aumentassero mentre si prendevano gioco del sindaco. Era ormai la fine.
Ad un certo punto, però, apparve un uomo, veniva dal Nord e portava con sé una grande borsa a tracolla. Aveva i capelli neri e la pelle liscia. “Mi consenta – disse al sindaco – io so come risolvere il suo problema”. Il sindaco, ormai allo stremo, accettò l’aiuto dello straniero dall’accento buffo. Le aveva provate tutte: uno in più non avrebbe certo fatto la differenza. Accettò persino le strane richieste dell’uomo, che voleva essere ricompensato nel caso riuscisse nel suo intento. Egli voleva diventare il nuovo sindaco.
Inoltre, pretendeva che nessuno lo disturbasse durante la sua impresa. Ricevuto l’assenso del sindaco, tirò fuori dalla sua borsa uno strumento musicale, un piffero, e cominciò a suonare. D’un tratto, tutti i topi, come ipnotizzati, si riversarono nelle strade e si presentarono al cospetto del suonatore. “Seguitemi” disse l’uomo e partì. I topi lo seguirono fino ad un grande fiume e vi si tuffarono.
Lo straniero tornò dunque in città e tutti i cittadini lo osannarono e lo proclamarono sindaco. “Non abbiate paura ora. L’economia si riprenderà, ci sarà di nuovo la crescita” furono le sue prime parole. I topi, infatti, avevano rosicchiato tutto e ai cittadini non era rimasto più nulla. Il pifferaio allora promosse nuove politiche economiche per risollevare il tenore di vita delle persone, ma qualunque cosa provava a fare, non riusciva nel suo intento. I cittadini erano sempre più poveri, tartassati dalla crisi che i topi avevano innescato.
Nel frattempo, le città vicine, storiche alleate, cominciarono a preoccuparsi. La crisi stava colpendo anche loro e rimproveravano la vecchia amica. “Stai attenta! Se continui così finirai in bancarotta!”.

Le gesta del nuovo sindaco

Allora, al sindaco venne un’idea. Se i ratti erano stati così stolti da seguirlo e da gettarsi nel fiume, non restava che provare la stessa tecnica anche con le persone. Chissà se ci cascano anche loro.
Non restava che fare un tentativo. Riunì allora quasi tutta la cittadinanza in un’assemblea popolare e iniziò a suonare il suo piffero. La musica inibiva le coscienze degli uomini e delle donne presenti. Tutti ormai pendevano dalle sue labbra. “Suvvia, non disperate. La crisi non esiste. I ristoranti sono pieni, di che vi lamentate?”. I cittadini annuivano, ipnotizzati dalla musica del sindaco.
Mancavano però alcune persone, soprattutto tra quelle che erano solite indossare strani cappelli e degli abiti rossi. I cittadini li chiamavano “giudici supremi”. Questi non credevano alle storielle del sindaco e lo reputavano un semplice cantastorie.
Nei mesi seguenti, però, i cittadini non videro alcun miglioramento, anzi i soldi in casa diminuivano sempre di più, così da rendere necessari dei tagli alle spese. Tutti si chiedevano come fosse possibile una tale situazione: il sindaco li aveva rassicurati e il sindaco non mente mai. Erano le città vicine che, invidiose com’erano, avevano inventato tutto.
Un giorno d’estate, il quadro divenne improvvisamente più chiaro: i giudici supremi, che non avendo partecipato all’assemblea non erano stati ipnotizzati, scoprirono il piano segreto dell’uomo venuto dal Nord. C’è da dire che al pifferaio questi giudici non erano mai piaciuti, così come non gli era mai piaciuto il colore delle loro vesti. Ciononostante, aveva in tutti i modi provato ad incantarli con la sua musica, ma ogni volta che iniziava a suonare, loro fuggivano. Erano diventati troppo furbi questi signori, pensava il pifferaio. “Forse mi avranno scoperto” pensava tra sé. “Impossibile” si rincuorava. Invece, quella mattina tutto stava per cambiare.
I giudici chiamarono il nuovo sindaco e lo fecero sedere al centro di una grande stanza nella quale era riunita tutta la città, nessuno escluso. Il più anziano dei togati prese la parola e disse: “Caro sindaco, abbiamo scoperto il suo piano” e iniziò a descrivere minuziosamente di come il pifferaio abbia inviato tutti quei topi in città e di come poi abbia convinto, con la sua musica, a farli annegare. Con lo stesso metodo aveva pure ipnotizzato i cittadini. Molti di loro, allora, sospinti da un moto di orgoglio, si alzarono e, scagliandosi contro di lui, lo cacciarono dalla città.
Una parte, invece, rimase seduta, incredula delle parole dell’anziano giudice: era impossibile che il loro amato sindaco fosse così malvagio.
Bisognava escogitare un piano per salvarlo

Simone Lo Presti

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