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Paolo Borsellino – Al di là di qualsivoglia retorica

“Misero il mondo che ha bisogno di eroi.”

Bertolt Brecht

 

Retorica

Eroi. Quante volte si è abusato di questa parola. Quante volte è stata utilizzata per persone non meritevoli. Fatto ancor più grave, però, è quando questo vocabolo è teso a delineare persone veramente eroiche. In tutto e per tutto. Poiché, è questa l’immane gravità, il termine “eroe” è fortemente gravato da una retorica indicibile, gretta e insostenibile. Tutto ciò genera tristezza e angoscia. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, giudici che hanno pagato con la vita l’impegno contro la Mafia, sono le principali vittime di questo squallido processo retorico. L’integerrimo e incorruttibile giudice Borsellino, deflagrato e dilaniato di fronte alla casa della madre in via D’Amelio, quel maledetto 19 Luglio 1992, 57 giorni dopo la famigerata strage di Capaci. Da quel momento, Borsellino è stato eletto come esponente dello stato in lotta contro la criminalità organizzata; posto sui vessilli degli eroi della nazione. La morte, il più delle volte, fa quest’effetto. Purtroppo, e spesso si dimentica questo, viene tralasciata la cosa più importante. Paolo Borsellino, in quei 57 giorni, era un uomo solo. Era stato lasciato isolato da quello Stato per il quale egli lavorava. La morte gli ha accarezzato la mano, il giorno in cui gli unici personaggi che gli erano accanto erano quegli agenti della scorta mandati al macello, assieme al povero giudice. Lo stesso Stato che nel silenzio ha guardato dall’altra parte in quei giorni, ora lo esalta ipocritamente come un servitore morto durante il suo dovere. Borsellino lo faceva bene il suo dovere, forse era questo il problema.

Il personaggio (s)comodo

Fa comodo, senza dubbio, avere un proprio “santino” da issare sul tabernacolo ad ogni occasione. La cosa veramente grottesca è rappresentata dal fatto che il personaggio di comodo di turno, in tal caso, in vita era particolarmente e parecchio scomodo. Borsellino, l’uomo delle agende rosse e portavoce della teoria riguardo alla trattativa Stato-Mafia, fu da vivo tutto fuorché un personaggio opportuno per i suoi superiori. Lo Stato ogni anno, tira fuori la stessa e ipocrita tiritera di ringraziamenti e onori. Fortunatamente, la gente comune organizza eventi vari che ricordano la memoria dell’assassinato: fiaccolate, commemorazioni e cortei che, si spera, risultino meno insinceri dei meri proclami dell’establishment nazionale. Anche la gente comune rischia di diventare, però, parte di questo gioco. La morte di un uomo diventa logica di quel panem et circensem cui si viene nutriti quotidianamente. Il popolino, se interrogato a dovere, probabilmente sa ben poco sulla figura di Paolo Borsellino; sul suo impegno; su chi fosse veramente e su cosa fece per sbloccare la terra di Sicilia dall’impasse mafiosa. Non basta intitolare un atrio o una strada per sapere veramente chi era un uomo. Dobbiamo imparare che un uomo va indagato a fondo e ricordato a prescindere da quanto la prosopopea nazionale sfoggi una pubblicistica folta su di esso. Siamo esseri umani, ricordiamoci questo. Ricordiamo l’impegno delle persone. Non abbandoniamoci alla retorica da santino personale. Rischiamo, così facendo, di uccidere due volte la persona che ipocritamente tentiamo di rimembrare.

Simone Bellitto     

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