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Antimafia – social network: Emanuele non è solo

“Ringrazio ancora tutti per il vostro affetto e la vostra vicinanza. Credo la mia storia abbia colpito per il semplice fatto che in Sicilia c’è tanta gente onesta che ormai è stanca di subire e vuole finalmente rialzare la testa! Difendere questo territorio martoriato significa ridare speranza a quanti ogni giorno in silenzio subiscono senza riuscire a fare nulla. DOMENICA 7 LUGLIO ALLE ORE 16.30 appuntamento all’oasi di Pontebarca riva destra Paternò. Si farà un percorso attraverso l’oasi, si passerà di fronte a “zone calde” e si arriverà in campagna da me a Sciddicuni per fare un assemblea. Portare scarpe comode e il vostro sorriso! Non ci pieghiamo e andiamo avanti!”

È con questo post su Facebook che Emanuele Feltri alza per l’ennesima volta la testa.
Questa settimana la storia della testa di pecora ha fatto il giro dei social network. Il 30 giugno Emanuele, sempre attraverso un post nella sua bacheca, ci aveva reso partecipi di una scena raccapricciante, che, senza fatica, abbiamo tutti noi ricollegato a chissà quanti film sulla mafia.
La valle del Simeto, a Paternò (CT), è vittima di uno stupro ambientale perpetrato dalla malavita locale che ne ha fatto una discarica abusiva. Uno schifo che Emanuele, ragazzo di 34 anni, ha combattuto e tuttora combatte, nel nome dell’ambiente, della natura. Nella sua campagna, con i suoi animali e con la sua terra, Emanuele ha scelto di lottare contro quel nemico famoso e furbo, cinico e spietato, contro la montagna di merda.
Le intimidazioni che ha dovuto subire Emanuele sono, seppur spiacevole da dover dire, le cicatrici di una scelta presa con coraggio, con le spalle tanto larghe da poter reggere da solo il peso di un fardello così pesante. Le cicatrici restano, lo sappiamo. Alcune sono superficiali, altre più profonde, altre ancora fanno male anche dopo parecchio tempo. Ci ricordano come ci siamo feriti, quando ci hanno colpiti, sono un monito utile a rievocare un pericolo scampato. Ma sono soprattutto i segni distintivi di chi lotta, senza la paura di ferirsi di nuovo il giorno dopo.
Emanuele è andato via da Catania da solo e da solo ha preso le sue decisioni, anche quando, subito dopo l’accaduto, in un primo momento, ha preferito non denunciare il fatto alle forze dell’ordine, come se per lui le istituzioni non c’entrassero con questo genere di cose. Forse si è davvero soli quando accadono certi episodi. “Mi ha colpito molto questa cosa, non lo nascondo e ho deciso comunque di rimanere a vivere qui anche se in questo momento sono da solo. Arriverete un giorno lo so, io intanto continuo il mio lavoro quotidiano sognando una vallata pulita, piena di vita e di speranza”, così aveva scritto Emanuele il 30 giugno, utilizzando Facebook, affinché tutti i suoi amici potessero essere con lui. E non solo gli amici, basta infatti contare le centinaia di condivisioni e gli innumerevoli messaggi di solidarietà degli ultimi giorni nei confronti di Emanuele.

La grande mobilitazione sui social network rappresenta la nuova frontiera dell’interventismo popolare nelle lotte in difesa dell’ambiente, della legalità, dei diritti civili. L’antimafia del nuovo millennio è quella che oltrepassa i limiti spaziotemporali, quella che naviga in rete a vele spiegate.
I limiti geografici sono un ostacolo di poco conto. L’antimafia si fa sul territorio, è vero, ma attraverso l’utilizzo dei social, è possibile non solo venire a conoscenza della storia di Emanuele, per esempio, ma anche sdegnarsi e reagire.
La lotta alla mafia è un momento di condivisione, il cui fine ultimo è una vittoria lontana, sulla linea dell’orizzonte. Il dove avviene questo momento non ha molta importanza; la necessità sta nel non dimenticare il quando. Adesso.

 

Attilio Occhipinti

 

 

 

 

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