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Il mestiere raccontato da chi lo fa

Tra una settimana esatta parte la settima edizione dell’International journalism festival, festival del giornalismo che si terrà a Perugia.
In occasione di questo evento ci siamo presi la briga di scrivere qualcosa ad hoc, che comparirà nella sua versione completa sul numero di questo mese di Generazione Zero Reloaded, mentre qui vi proponiamo una piccola anticipazione.
L’evento in questione sarà sicuramente un bellissimo momento di coesione tra la diverse realtà dell’informazione; ma nell’intrigante mondo del giornalismo di nuova generazione, sappiamo bene che si annidano alcune macchie nere, sparse qua e là. Allora, occhi fissi sul monitor del computer, dita che battono la tastiera a grande velocità, uno sguardo agli appunti sul quaderno e tuffiamoci in Sicilia, la terra di Peppino, di Pippo, di Mauro, di Giovanni. Tutti nomi che rappresentano ogni giorno l’esempio più puro di quel giornalismo impegnato e coraggioso, che tante coscienze ha smosso. E, così, per vedere a che punto siamo arrivati, per farci un’idea sull’informazione in Sicilia, abbiamo chiesto alcune opinioni proprio a chi l’informazione la fa, in maniera più o meno precaria: sono i ragazzi del Coordinamento Giornalisti Precari Siciliani.

La parola a loro

“Credo che la necessità di svelare, cioè di scoprire quello è stato velato, coperto, stia alla base del giornalismo viscerale, e quindi reale, dovunque”: sono le parole di Sebastiano Ambra, giornalista e autore della trasmissione Agendaerre. “In Sicilia, diversi giornalisti hanno pagato con la vita il fatto di fare domande e di dire la verità. Oggi la Sicilia è cambiata, niente più sangue, infatti adesso usano le querele come strumento di bavaglio”, così Vincenzo Barbagallo, videomaker e giornalista. Saul Caia, giornalista free-lance collaboratore di diversi quotidiani, puntualizza sul fatto che  “nelle redazioni ci si avvale quasi sempre solo delle agenzie stampa, i comunicati che arrivano vengono rielaborati in fretta e furia per anticipare le altre testate, ma il più delle volte le notizie sono poco approfondite e non c’è mai il diritto di replica”; mentre perentoriamente Giorgia Landolfo, free-lance presso il Corriere del Mezzogiorno, dice: “A ogni collega precario consiglio di lottare per i propri diritti. Ogni pezzo DEVE essere pagato!”. Il giusto pagamento per quanto fatto è il minimo visto fare il giornalista “vuol dire, in generale, spaccarsi la schiena anche 12 ore al giorno, correre da un posto all’altro con i propri mezzi e senza nessuna garanzia per guadagnare un pugno di euro al giorno”, sostiene Andrea Sessa, collaboratore de Linkiesta.

Così si sono espressi questi cinque giornalisti,  invitandovi a leggere le loro interessanti riflessioni sulla nostra realtà giornalistica all’interno del prossimo numero di Generazione Zero Reloaded.

 

Attilio Occhipinti

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