Press "Enter" to skip to content

La disoccupazione giovanile oltre il 30%. Una linea che segna il paese.

L’Istat la definisce serie storica: è la comparazione dei dati da gennaio 2004, data dei primi rilevamenti mensili, ad oggi, in continuità temporale. Una linea, in un grafico. Sull’asse delle ascisse, i mesi, il tempo. Su quella delle ordinate, il tasso di disoccupazione giovanile. Una linea è così semplice da capire. È intuitiva. È facile da leggere. Una retta che costantemente, da dieci anni, sale su. Significa che la cifra percentuale aumenta e non arresta mai la sua mostruosa crescita. Gli ultimi dati, quelli forniti il 2 Aprile, che si riferiscono al mese di Febbraio, segnano il 31,9% di disoccupati tra i 15 e i 24 anni. Uno su tre. Un aumento rispetto al mese precedente dello 0,9%. Su base annua l’aumento previsto è del 4,1%. Trentadue giovani italiani su cento, pronti ad entrare nel mondo del lavoro, sono senza occupazione. Quindi inattivi e senza fonte di reddito. In Germania, lo stato con più occupati nell’Unione Europea, la cifra si attesta intorno all’8%. In Grecia, altro caso limite, i disoccupati sotto i 24 anni sono oltre il 46%. La cifra assume contorni drammatici prendendo in esame le varianti geografiche e di genere: il 49,2% di giovani donne che vivono nel meridione sono disoccupate. Una su due.
Adesso è altrettanto intuitivo: il numero di giovani senza lavoro in un paese fondato sulla (e affondato dalla) gerontocrazia è insostenibile. È un altro dei segnali evidenti del crollo di un sistema nazionale, economico e politico. Lo scenario rischia di diventare apocalittico immaginando solo il proseguo di quella retta: niente, sino ad oggi, sembra che possa aumentare l’occupazione giovanile e interrompere l’ascesa di quella linea. Non lo sarà, con buona probabilità, una riforma del lavoro che, senza alcuna concertazione tra le parti sociali, preme sulla precarietà esistenziale. Fino ad oggi, solo tensione dialettica sulla possibilità di rendere, attraverso la modifica dell’articolo 18, il mercato del lavoro più flessibile per favorire, secondo il ministro Fornero, l’ingresso dei giovani in quest’ultimo. Allo stesso tempo, per la riforma dell’esecutivo Monti, solo la metà degli stagisti, dopo tre anni in condizione di semi sfruttamento, saranno assunti obbligatoriamente dall’azienda. Nessun grosso cambiamento. La percentuale dei giovani, rimandati via a pedate a cercare un nuovo padroncino da cui essere totalmente subordinati rimane la stessa. Anzi, cresce, proprio come quella linea.

 

 

 

Andrea Gentile

Be First to Comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *