Press "Enter" to skip to content

Quel che c’è nel mio cuore

Recinzione cattivissima del libro di Marcela Serrano

 

Se pensate, come feci io acquistandolo, che questo libro sia un drammatico viaggio nel rapporto tra una madre e una figlia sullo sfondo della dittatura di Pinochet, la mia risposta più educata è “maddechè?”.
Vabbè, la storia è questa: Camila è figlia di sua madre, la quale ha lottato contro il regime di Pinochet e finito il regime di Pinochet, già che c’è prende il mantello e lo scettro magico e va a lottare anche contro altre dittature. Camila invece non se la sente di fare questa vita e va in esilio in America, dove si sposa, fa un figlio e poi il figlio ovviamente le muore (un, due, tre: lacrime). Allora il suo editore le ordina di fare un reportage sul Chiapas. Lì chi ti incontra? Reina, una tizia che ha conosciuto sua madre nelle carceri di Pinochet durante la dittatura e che come sua madre fa la rivoluzionaria full time. Due pagine dopo Reina viene messa sotto da una macchina e va in coma giusto il tempo per permettere a Camila di parlare per tutto il libro in prima persona e fare un po’ di sesso con il protagonista maschile, Luciano, con cui ovviamente c’è intesa dalla prima pagina. In queste disquisizioni, tra una pomiciata e la descrizione di un derelitto villaggio di derelitti contadini del derelitto Chiapas, Camila pensa a sua madre che non l’ha mai stimata perché ha preferito andare in America a vedere la nuova serie di Jersey Shore, piuttosto che stare in Cile/Nicaragua/Guatemala [inserire nome paese sudamericano oppresso qui] a tenerle le bombe a mano e il kalashnikov e farsi torturare da un dittatore a caso. Chi c’è al suo posto invece? Ovvio: Reina! La simpaticissima infatti diventa una sorta di figlia putativa per la mamma di Camila perché fa tutto quello che piace a lei: combatte i dittatori, spara ai dittatori, va in carcere per colpa dei dittatori, si fa torturare dai dittatori, non guarda Jersey Shore. Ad un certo punto avviene una tragica tragedia, poi le autorità del Messico percepiscono che Camila, essendo la protagonista di un romanzo sudamericano, deve essere per forza lì per fare un’inchiesta giornalistica/farsi delle domande sul suo burrascoso passato di donna/fare revisione critica di ciò in cui credeva fermamente fino al primo capitolo/fare lotta di classe/fare la rivoluzione/farsi un rivoluzionario. Così Camila viene arrestata e, dopo anni, finalmente fa ciò che la madre più desiderava per lei: si fa torturare! Finalmente Camila può tornare a casa e ha la dignità acquisita sul campo per pensare in cuor suo che Reina si, era un’eroina, ma aveva il culo basso tutto sommato.
Se state dunque pensando che questo libro sia il viaggio nell’anima di una donna ferita che cerca di affrontare il suo passato, vi sbagliate di grosso. Il problema maggiore è che è evidente dalla prima pagina che alla Serrano sono sfuggiti tutti i personaggi di mano. Camila ha dei fantozziani sensi di inferiorità nei confronti di un personaggio, la mamma, che in un libro scritto bene sarebbe semplicemente una cretina, mentre qui viene spacciata per un’eroina. Senza parlare poi del fatto che non traspare la minima empatia per il fatto che Reina sia in ospedale, ridotta ad un puzzle Ravensburgen da una macchina in corsa. Camila passa il tempo a pensare alle frasi da bacio perugina che dice Reina nei suoi interessantissimissimi aneddoti sulle guerre che ha combattuto, poi pensa a sua madre e a quanto le faceva carinamente pesare il fatto che lei non era come Reina e poi, finito il trip mentale, vai di bunga bunga con Luciano, il suo toy boy italiano in Messico. Altro aspetto favoloso del libro poi è l’attaccamento che Camila ha per la sua famiglia in America. Diciamo che se non fosse per la trama scritta sulla copertina, poteva anche essere single per me la protagonista.
Insomma questo libro è un’autentica idiozia, ma alla fine racchiude tutti gli stereotipi della letteratura sudamericana adatti a permettere all’autrice di pontificare su tutto lo scibile umano per almeno due festival letterari di Mantova. Mi riferisco a:
-una protagonista che è donna, è emancipata, è giornalista e fa tanto femminismo da discount
-il chiapas o [inserire luogo oppresso e caro alla sinistra radicale] 
– dittature a go go
-ingiustizie sociali
-una storia d’amore tramite cui condividere (parolina magica) gli ideali
Consigliato se cercate buone motivazioni per dare il voto al Terzo Polo

 

 

 

Ester Nobile

Be First to Comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *