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La guerra di ogni giorno

Questo non è un film.

 

Federico del Prete.  Dario Scherillo. Gianluca Cimminiello. Claudo Taglialatela. Silvia Ruotolo. Paolo Castaldi.  Attilio Romanò…

Nomi sconosciuti ai più.
Nomi  di caduti civili  appartenenti ad una guerra che non è mai stata apertamente dichiarata. Nomi che compaiono a  piè  pagina di qualche giornale locale ,  o al limite  tra un rullata e un’altra di un telegiornale. Nomi che appartengono ad una guerra invisibile, che non compare sui libri di geopolitica; una guerra mai esplicitamente riconosciuta  eppure maledettamente perenne:  la guerra di camorra.

Ciascun nome è un ritratto di una vita distrutta per sempre da questa guerra;  storia di una famiglia che ha sofferto il  dolore – prima- ; e la diffamazione, solitudine e umiliazione – dopo.

Luigi Cangiano aveva solo dieci anni quando viene raggiunto da un proiettile vagante, mentre stava giocando a pallone, nel rione Siberia.  Dario fu  erroneamente scambiato per un pusher, ma non c’entrava nulla. Gianluca è stato ucciso dal clan Amato-Pagano  per una foto su Facebook. Annalisa,  aveva solo quattordici anni quando fu uccisa per errore.
Gigi Sequino e Paolo Castaldi, ventunenni, furono scambiati per guardia spalle del boss nemico e per questo trucidati a pianura.  Anche  Palma Scamardella, fu uccisa a pianura per errore; il vero obiettivo era suo zio, pregiudicato legato al clan Lago. Giovanni Gargiulo,  fu ucciso nel quartiere Barra per una vendetta trasversale. Aveva quattordici anni.

Raccontare queste storie, approfondirne la dinamica , significa davvero toccare la ferita aperta e sanguinante di un  tessuto sociale lacerato  dalle dinamiche criminali; raccontare la banalità con cui  vittime innocenti sono state colpite,  significa raccontare la narrazione civica di una realtà  che conosce la morte, come parte integrante della vita.  Una sicurezza precaria che si alterna ad uno stato di guerra a seconda degli interessi delle diverse geografie criminali . Ci siamo dentro.
In Campania,  fortunatamente , esiste la fondazione Pol.i.s che non solo aiuta la cittadinanza al ricordo vivo delle vittime di camorra, ma cerca di sostenere ( e assistere)  anche i familiari delle vittime, che spesso dopo la perdita del loro caro vengono abbandonati, o ancora peggio, provano   un senso di strana e incomprensibile “vergogna “ nei confronti di una cittadinanza che non sempre sa da che parte stare. Che è troppo occupata a farsi i fatti suoi.

Ma   “questo farsi i fatti propri è la condanna di Napoli”.
“Non erano loro, le vittime, a trovarsi al momento sbagliato nel posto sbagliato; ma al contrario erano i camorristi che stavano al posto sbagliato nel momento sbagliato”.
Basterebbe spostare la prospettiva, rendere le storie di camorra non un affare tra loro, o al limite tra procure e camorriste; ma al contrario far capire – alla cittadinanza- che è la camorra che entra nel tuo quotidiano, e talvolta in modo tragico . Ci riguarda, è “cosa nostra”.  Tutto ciò è successo, perché ci siamo fatti troppo i fatti nostri.
Questo non è un film, questa è la guerra di ogni giorno.

Vincenzo Fatigati

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