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Sarò Greve e coInciso.

“Che le lagrime mie si spargan sole.”

 

Una sera d’estate, sorprendentemente rinfrescante, mi ritrovo nella solitudine di Ragusa lontano dalle frenetiche e promiscue passeggiate sul lungomare nuovo di Marina, che prima era vecchio, poi di nuovo nuovo e poi ancora più vecchio di quelli che ci camminano di sopra (per intenderci il “lungomare Mediterraneo”).

A parte qualche parola colta di sfuggita alla radio o alla tv, da un paio di settimane a questa parte sono del tutto ignaro di quello che succede sugli scranni del potere che reggono dis-onorevoli fondoschiena; per cui da “studioso”, seppur scarso, di cultura non posso far altro che farmi rapire dal ricordo di ciò che fu e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei.

Ricordo che durante la verifica di Governo del 22 giugno 2011 richiesta dal Presidente della Repubblica fui allibitamente colpito dalle dichiarazioni dei capigruppo alla Camera dei Deputati, senza però nessuna reazione grafica immediata, causa gli impegni di studio che ad un certo punto mi spinsero a rimettermi a lavoro.

Questo improvviso flashback mi ha spinto a rinfrescare la memoria e ad andare a rivedere quelle dichiarazioni.

Senza nessuna sorpresa per la ridondanza delle espressioni di Antonio Di Pietro, che articolava in avversative dei sinonimi, ho per un attimo sospettato del fatto che Bersani si fosse fatto sostituire da Maurizio Crozza, o quanto meno avesse scritto a quattro mani con lui le battute con le quali il suo intervento tentava di raccogliere le prime boccate d’aria.

Sorvolando sulle rivendicazioni dei “disponibili” nazionali, e per un attimo perplesso di fronte alla citazione della Nannini da parte di Italo B. il mio ingegno fu propositivo di fronte alle parole da letterina per Babbo Natale di Reguzzoni (Lega Nord) che decantava con esaltante pompa militare le glorie del più grande evento politico dell’ultimo decennio: il raduno di Pontida.

Riflettendo sulla dottrina leghista che mi ha portato in questo fantasioso e verdeggiante mondo di Padania, ebbi l’illuminazione che mi fece ritrovare il senno perduto sulla luna e, bevendo quel filtro, mi venne la voglia di esternarle a gran voce in un discorso:

“Sono stanco di questi meridionali che hanno così tanto sole e così poca voglia di lavorare, sono stanco di vivere a latitudini inferiori a quelle tunisine… Sono stanco di essere meridionale.

Ho in mente un grande progetto che rivoluzionerà democraticamente e urbanisticamente la vita del nostro popolo, che non sarà più diviso e rinascerà sotto un unico nome:

Smantelliamo il meridione e trasferiamolo al nord, così non ci saranno più meridionali; ci sarà bisogno di nuova manodopera, il ponte sullo stretto sarà sostituito da una grande scala a chiocciola e quegli sfaticati faranno finalmente qualcosa per il Paese, oltre ad accumulare monnezza; non ci saranno che conseguenze positive perché i settentrionali, che prima non avevano sole, continueranno a non averne, per cui non peserà il fatto di essere coperti da un altro piano che ci permetterà, tra le altre cose, di risparmiare sugli ombrelli; mentre gli ex-meridionali non ne avranno più (di sole) così diventeranno degli ottimi settentrionali.
Verranno creati nuovi posti di lavoro, tutti i settori lavorativi subiranno un incremento notevole con degli importanti ritorni economici, e finalmente la storia politica della nostra Nazione subirà un’epocale rivoluzione inaugurata dalla modifica dell’Articolo 1 della Costituzione che reciterà così: L’Italia è una Repubblica condominiale fondata sul lavoro e sulla scarsa presenza di meridionali.

Purtroppo vengo ridestato dall’atmosfera viscida di cui è consueto portatore Cicchitto, così ricordandomi di personaggi di più alta levatura morale riconosco l’impossibilità di farmi grande contraddicendo le parole di un grande italiano, dunque non posso che umilmente assecondarle e riproporle:

“Alcuni altri de’ nostri, veggendo le piaghe d’Italia, vanno pur predicando doversi sanarle co’ rimedi estremi necessari alla libertà. Ben è vero, l’Italia ha preti e frati; non già sacerdoti: perché dove la religione non è inviscerata nelle leggi e ne’ costumi d’un popolo, l’amministrazione del culto è bottega. L’Italia ha de’ titolati quanti ne vuoi; ma non ha propriamente patrizj: da che i patrizj difendono con una mano la repubblica in guerra, e con l’altra la governano in pace; e in Italia sommo fasto de’ nobili è il non fare e il non sapere mai nulla. Finalmente abbiamo plebe; non già cittadini; o pochissimi. I medici, gli avvocati, i professori d’università, i letterati, i ricchi mercatanti, l’innumerabile schiera degl’impiegati fanno arti gentili essi dicono, e cittadinesche; non però hanno nerbo e diritto cittadinesco. Chiunque si guadagna sia pane, sia gemme con l’industria sua personale, e non è padrone di terre, non è se non parte di plebe; meno misera, non già meno serva.”

(Ugo Foscolo-Le ultime lettere di Jacopo Ortis)

Di Massimo Occhipinti

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