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The Age of Stupid- recensione

Di Simone Bellitto

L’umanità (responsabile) si è sempre posta delle domande su cosa riserveranno i tempi futuri e quando e in quale grado il pianeta Terra risentirà della presenza “umana” sulla propria superficie. Dubbi ed inquietudine aumentano nel momento in cui si prospettano scenari tutt’altro che rosei e che, anzi, si preannunciano come visioni da un futuro potenzialmente post-apocalittico. Tale intento è quello che prova a delineare il film The Age of Stupid (2009), di Franny Armstrong. La prospettiva di questo docu-drama (film per metà fiction e per buona parte supportata da immagini documentarie reali) è però capovolta: le visioni sono quelle del passato, analizzate da un “archivista”del futuro, interpretato da Pete Postlethwaite (attore che ha recitato in lungometraggi quali Nel nome del padre e I soliti sospetti). Nell’anno 2055, il pianeta è ormai destinato a scomparire nell’agonia, ed il nostro protagonista, anatomizzando filmati visivi dell’anno 2008, riflette su come l’umanità possa aver potuto trascinare il globo sull’orlo della catastrofe. Mediante questi documenti, rappresentanti l’intero sapere del mondo passato, dove sono mescolati sapientemente interviste reali e sequenze e filmati animati, la riflessione è focalizzata su tutti quegli accadimenti che hanno “distrutto” il nostro corpo celeste. Basterebbe citare il riscaldamento globale, che non di rado crea fenomeni devastanti come l’uragano “Katrina” negli USA, o lo scioglimento allarmante dei ghiacciai di anno in anno; la guerra, strettamente collegata agli interessi delle grandi potenze economiche e indissolubilmente correlata all’industria del petrolio ed ai suoi esiti nefasti, come lo sfruttamento scriteriato delle grandi compagnie nei paesi del terzo mondo; o, infine, alla mancata promozione di energie rinnovabili “pulite” e rinnovabili per l’uso sconsiderato di energie inquinanti in termine di salute e ambiente. Il ritratto delineato è piuttosto preoccupante, e richiede ponderazione su come, nel giro di qualche decennio, previsioni esposte in un futuro prossimo rischiano di avverarsi. L’estrema sintesi è data da uno dei laconici messaggi lanciati dall’archivista: “Non saremmo di certo la prima specie che provoca la propria estinzione, ma ciò che lo renderebbe unico sarebbe averlo fatto consapevolmente”. L’umanità che va incontro al proprio harakiri, in parole povere. Alla fine di questa visione il quesito che dobbiamo porci è: cosa possiamo fare per evitare tutto questo? Molte volte, tutti i nostri gesti appaiono come gocce nell’oceano, ma non è una giustificazione per non fare nulla. La morale della pellicola, pertanto, risiede nella nuova consapevolezza che gli esseri umani devono avere del proprio “habitat” e della sua preservazione, e quindi la lotta che deve derivare per essa necessita di essere TOTALE. Il monito, infatti, è quello di riuscire a scongiurare la fine. E quando una moltitudine di soggetti capirà come migliorare le cose, ciò che appare sulla carta come una “bellissima utopia” potrà finalmente essere tramutato in realtà, con il giusto tempo e la giusta perseveranza.

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