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Lettera aperta a un partigiano morto

Caro partigiano,

in questi giorni cupi e in questo tempo greve, t’ho pensato intensamente. T’ho pensato spesso, a dirla tutta, negli ultimi anni. Ti immaginavo con il mitra in mano, tradito dalle folate di vento più acerbe, con le carni scosse dal tremito. Ti immaginavo spesso e pensavo a come sarebbe stato bello parlarti, conoscerti e dirti quello che accade oggi, chiederti consiglio.
Ti scrivo questa lettera, perché i nostri pomeriggi si sono fatti più grigi che mai. La democrazia che non hai potuto vedere sorgere, è stata avvelenata, è nata monca. Si è fatta ammalare dalle trame più crudeli. Mentre tu combattevi sulle montagne, mentre tu soffrivi, qualcuno prendeva accordi segreti- così si è scoperto- per dare manforte agli Americani. Li prendevano certi brutti soggetti, quelli che vengono detti “mafiosi”. E’ stata una disgrazia nascere male.
Oggi, nella più crudele indifferenza, le vite dei cittadini vengono coperte dall’ombra dell’ignoranza e della servitù. Il clientelismo e la prostituzione intellettuale, la corruzione e l’avidità hanno convinto gli uomini che fosse molto più semplice dare il peggio di sé. Per evitare confronti con un passato che non avrebbe mai dato loro ragione, questi uomini si sono permessi di cercare in ogni modo di cancellarlo. Di far finta che tu, mio caro partigiano, non fossi morto. Che non fossi mai stato niente.
Noi, che ricordiamo, siamo rimasti in pochi. Per la maggior parte di noi, sembra che tutto sia divenuto un gesto vacuo svuotato, un commemorare tempi perduti. Un dormire sugli allori, un dormire comatoso. In troppi credono che basti pensarci poco e niente, che il male di vivere bisogni esorcizzarlo altrove. Credo che tutti soffriamo il confronto con te: non ne saremmo capaci oggi, di rischiare e perdere la vita per qualcosa. Siamo, pressappoco, morti anche noi, ma morti di noia e di niente.
Se pure ci venisse in mente un modo per salvare il nostro vivere, ne resteremmo esclusi. Molti di noi, anche troppi, sanno solamente studiare, perché non ci hanno insegnato nient’altro. Ci hanno insegnato solo ad essere inetti. E quelli che sanno combattere con le rovine del mondo sembrano ormai completamente impazziti, deboli prede delle loro pulsioni più basse ed inutili.
Ogni giorno la mafia e un autoritarismo fatto di piccole meschinità ci divorano. Noi abbiamo quasi perso la capacità di odiare l’ingiustizia, purtroppo. Del resto, chi c’è più vicino scompare: i ragazzi spengono facilmente il cervello, si danno a una dolce vita e amano il loro egoismo. C’è sempre questo senso opprimente di nulla, che è restare soli, essere decimati dall’infinita stupidità umana.
Se pure le situazioni che sono al limite della vita risvegliassero uno spirito di genuinità nella conoscenza, un senso di amore per la vita e per se stessi in tutti questi uomini, che avanzano anonimi nella devastante mediocrità moderna, io spero solo d’avere il tuo coraggio.

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