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Il Teatro è Cultura- Perché Ragusa è senza teatro?

Di Simone Lo Presti

IL TEATRO E’ CULTURA

“Non gl’immobili fantocci del Presepio; e nemmeno ombre in movimento. Non sono teatro le pellicole fotografiche che, elaborate una volta per sempre fuor dalla vista del pubblico, e definitivamente affidate a una macchina come quella del Cinema, potranno esser proiettate sopra uno schermo, tutte le volte che si vorrà, sempre identiche, inalterabili e insensibili alla presenza di chi le vedrà. Il Teatro vuole l’attore vivo, e che parla e che agisce scaldandosi al fiato del pubblico; vuole lo spettacolo senza la quarta parete, che ogni volta rinasce, rivive o rimuore fortificato dal consenso, o combattuto dalla ostilità, degli uditori partecipi, e in qualche modo collaboratori.” Così Silvio D’amico, critico e teorico teatrale, scrive nella sua “Storia del teatro”.

In Italia si assiste, da qualche mese, ad una regressione culturale che ha colpito soprattutto la televisione, il cinema e il teatro. I vari reality che occupano quasi la maggior parte del palinsesto televisivo hanno sempre di più attirato l’attenzione di giovani e non, attratti non tanto dal livello intellettuale delle trasmissioni ma, più gravemente, dalla facilità di recezione che le stesse possiedono, tratteggiando in maniera scoraggiante l’indifferenza del pubblico televisivo verso temi e problemi ben più rilevanti e vicini alla popolazione italiana. Il cinema, e particolarmente quello made in Italy, ha subito un collasso culturale tanto da far scadere il sommo genere nostrano, la cosiddetta “Commedia all’italiana”, in degli omologhi spettacoli dalla comicità misera, volgare e spesso banale. Non è da meno il teatro con i suoi sempre maggiori interpreti. “Vorrei che il palcoscenico fosse sottile come la corda di un funambolo affinché nessun inetto vi si arrischiasse sopra” scriveva Goethe, dipingendo in maniera realistica la triste realtà del teatro italiano, logorato da chi non riesce o non vuole capire l’arte.
Il problema che si pone agli occhi di chi ama l’arte è sicuramente grande. Non c’è una pianificazione di studi statali d’eccellenza che permetta a coloro i quali vogliano cimentarsi nella tecnica teatrale di seguire un corso, in particolare adesso che sono stati effettuati tagli importanti a questo settore culturale. Le proteste in tutte le più importanti città del Paese (Torino, Padova, Roma) sono segno evidente di dissenso nei confronti di chi non ha intenzione di promuovere le arti liberali (teatro, danza e cinema) e quindi la cultura.
Nella nostra Ragusa, da qualche anno, non esiste più un teatro aperto gestito dall’ente comunale. Certo c’è il Teatro Tenda, ma può un tendone essere degno del nome che porta? Per Germano Martorana, attore teatrale, la risposta è no, “per via di una cattiva insonorizzazione, di una cattiva struttura, forse è un palatenda, utile per far risparmiare i tendoni ai circhi che passano per la città” e ancora “Guarda Modica: nonostante i problemi di bilancio, il Comune fornisce alle compagnie alcuni locali comunali per le prove e la preparazione degli spettacoli. Questo sarebbe un esempio da seguire, anche perché una città senza teatro è un luogo senza cultura”.
A Ragusa, invece, i vari spettacoli che sono stati messi in scena derivano dall’impegno di qualche cittadino privato o associazione che ha sostenuto lo sviluppo di attività artistiche cittadine, non senza il pericolo di utilizzare la promozione dell’arte del corpo a scopo lucrativo. L’assessore alla cultura del comune siciliano, Francesco Barone, ha affermato che presto saranno avviati i lavori di ristrutturazione dell’ex cinema “Marino” e che nel giro di due anni al massimo avremmo assistito alla sua riapertura. Perché aspettare due anni e non rivalutare da subito il Teatro Duemila, acquistando un immobile che rassomiglia maggiormente all’idea di teatro?

Miracoli non se ne possono fare, lo capiamo bene, ma l’impegno e la volontà di riportare la nostra città ai livelli che spettano ad un capoluogo di provincia non devono mai mancare, soprattutto in ambito amministrativo, perché “la cultura non è professione per pochi, ma una condizione per tutti, che completa l’esistenza dell’uomo” (Elio Vittorini).

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