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Il Primo maggio, un’occasione di riflessione

Di Simone Bellitto

Correva l’anno 1863, il 6 Agosto. A Napoli, presso la sede dell’opificio di Pietrarsa, durante una manifestazione di operai contro la riduzione del personale e per l’aumento del salario, la Guardia Nazionale Italiana, i Bersaglieri e i Carabinieri convergono per sedare i tumulti e sparano sulla folla. Moltissimi saranno i feriti e almeno quattro le vittime accertate. Saranno questi ufficialmente i primi martiri del lavoro dell’Italia post-unitaria, e rappresenteranno il prodromo per le future battaglie degli operai per il diritto al lavoro.

 

Quello stesso lavoro che è festeggiato e onorato con la festività dei lavoratori per eccellenza, manifesto delle festività laiche, vale a dire il Primo Maggio. Se quello appena citato è l’elemento iniziale, le radici di questa festa (riconosciuta anche in molti altri paesi del mondo) a livello internazionale affondano sicuramente nel decennio 1880-1890 in Nordamerica, dove già dal 1882, numerose manifestazioni dei Cavalieri del Lavoro (Knights of Labor) furono attuate nella città di New York, già precedute da dimostrazioni collettive il decennio precedente in Canada. Ma il culmine verrà raggiunto nei primi giorni del maggio ’86, dove a Chicago, nell’Illinois avvenne la celebre e sanguinosa Rivolta di Haymarket (omaggiata a modo suo da Jack London nel suo famoso “Tallone di Ferro”, nel capitolo dedicato alla “Comune di Chicago”). Per la commemorazione di questo episodio nascerà negli Stati Uniti la festività del Primo Maggio, ratificata anche in Europa nel 1889 a Parigi dai delegati della Seconda Internazionale, e riconosciuta due anni dopo finalmente anche nel nostro paese.

 

Oggi nel 2011, anno dei 150 anni dell’Unità d’Italia (?), quale spirito aleggia su questa festività? Basterebbe dire che abbiamo raggiunto livelli di disoccupazione allarmanti, in cui oggi si stima che un giovane su tre sia senza lavoro. Nell’era in cui qualche personaggio noto ha lodato la flessibilità ed il part-time come un “valore”, e i morti sul lavoro, le cosiddette “morti bianche”, dovute alla mancata sicurezza e alle tonnellate di lavoro sommerso, solo l’anno scorso, nel 2010, hanno superato le 500 unità, non sarebbe lecito riconoscere a questa ricorrenza il suo giusto valore? Bisogna riflettere attentamente sui dati sopra citati. Poiché sono sempre i lavoratori coloro che ci rimettono in salute ed accettabilità delle condizioni di lavoro (che spesso non c’è del tutto), e nel ventunesimo secolo proliferano gli “schiavi” disposti a tutto pur di portare a casa una misera paga. Pertanto è un imperativo categorico, da parte di tutti, dare il giusto significato a questo giorno, e ricordarsi poiché esso deve inequivocabilmente rappresentare un simbolo ed un vessillo per i diritti che spesso e volentieri sono calpestati senza scrupolo alcuno.

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