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Giornata della Legalità al liceo Classico di Leonforte

Di Giulio Pitroso

 

Il 20 Aprile 2011 è un giorno d’assemblea d’istituto al liceo classico di Leonforte. I rappresentanti avevano in programma una giornata dedicata alla Legalità. Ci siamo accordati, abbiamo detto che ci saremmo stati, che ci saremmo presentati e che avremmo discusso.
Sembrava essenzialmente semplice. Prendere il bus per Leonforte, arrivare al liceo, parlare, andarsene. Una sequela di azioni ben programmate, un’esperienza facilmente organizzabile. Ma non era così. Quello che è possibile in regioni del mondo, dove il malcostume e la delinquenza non hanno scalato i vertici delle istituzioni, non è possibile in Sicilia. Sembra un fatto scollegato dall’illegalità, ma non lo è: raggiungere Leonforte è un’impresa e non lo è per caso.
Non sono solo gli orari dei bus ad essere proibitivi, ma è soprattutto la strada a rendere questa tratta poco appetibile e gli spostamenti troppo difficili. Cercando su un qualsiasi motore di ricerca, se non su d’una cartina, Leonforte, nell’ennese, non sembra distare più di una sessantina di chilometri da Catania, nostro punto di partenza. Nessuno immagina che ci possano volere due ore o che, ancora peggio, la strada sia in condizioni assurde. Buche, fossi e, addirittura, quelle che sembrano faglie.

Quando ci alziamo, alle cinque, l’aria è ancora fresca. Catania sembra non essere più intossicata dalla smog. I marciapiedi e le strade sono sgombri. Il sole sta sorgendo. Non ci resta che arrivare in stazione ed aspettare.
Saliamo sul bus e attraversiamo i meravigliosi paesaggi dell’ennese, sfiorando il lago di Pergusa. La vista è fantastica. I tetti delle case sono spioventi; le città sono accoccolate sulle cime di alti dorsi. Le montagne tagliano il cielo a forma di schiena di drago. I ragazzi pendolari salgono, ubriachi di sonno. Altri scendono lungo il cammino. Parlottano fra loro, mentre noi pensiamo ai nostri interventi alla Giornata della Legalità.

Arriviamo a Leonforte. Mariagrazia, della redazione di Generazione Zero Sicilia, ci da una mano ad orientarci a scuola. Annalisa, la rappresentante, ci introduce con una certa competenza. Dovremo tenere la presentazione del giornale e fare gli altri interventi nel margine di tre ore. Alle undici e trenta sarà tutto finito. Prima sessione è quella del ginnasio.
I ragazzi sembrano interessati. Ma non tutti, ovviamente. Qualcuno gioca al cellulare. Qualcuno parla. Non importa a tutti e questo è anche normale. Tuttavia pare che l’indifferenza sia coltivata bene, con incoscienza. Anche se il resto dei presenti parla di storie decisamente dure, come quella della presunta presenza di scorie nucleari ad Enna, sembra che queste cose vengano sentite come distanti.
Il liceo è più attivo. Ma è difficile affrontare la realtà dei fatti. Qualcuno solleva dubbi sul fatto che il sistema di Libera per dare lavoro sia insufficiente. I più non sapevano neppure dell’esistenza di Libera. Forse il più delle volte queste storie di antimafia sono state ammantate di tanta di quella retorica, che oramai sembrano fantasia. Tutti sanno che la mafia è una cosa brutta, per dirla in soldoni, ma nessuno è disposto a riconoscerla nella propria vita quotidiana. “Ma le strade perché sono così schifose da queste parti?” chiediamo. “Perché sono appaltate ai mafiosi” dice qualcuno. “Ma secondo voi non si può fare niente?” ribattiamo. “No. Che dobbiamo fare? Che possiamo farci?” rispondono. E quale sarà la soluzione? Quale prospettiva? Che fare? Poniamo domande ancora una volta. E loro, i ragazzi, con le loro facce sbandate, fanno accenno all’emigrazione. “Chi vuole emigrare?” viene chiesto loro “Alzi la mano chi vuole emigrare”. E la alzano tutti.
Certo, nessuno può dare torto a chi parla di antimafia. Ma come dare una chance? Come porre realmente le basi per un vero cambiamento? Come rendere questi discorsi qualcosa di concreto?

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