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Fare cultura

Di Marta Cafiso

Il primo uomo che sfregando due legnetti provocò una scintilla con la quale accese un fuoco su cui cucinò la carne dei bufali, fece cultura

Tratta da “Elenco del perché con la cultura si mangia” di Andrea Camilleri, questa frase presenta due simboli, due chiavi d’esposizione: la scintilla e la cultura. Ma… Cosa c’entra il fuoco con la cultura? Non è forse la fiamma ad ardere la carta? E non è forse la carta a risultare sconfitta?

Eppure la morra cinese ci insegna che la carta ha un potere straordinario, a tal punto da vincere il sasso, scaturito dalla mia analisi in quanto simbolo dell’indifferenza.

Indifferenza, matrice non solo di solitudine ed alienazione all’interno di una comunità (parlando del piano prettamente sociale), ma anche della precarietà. Il volo pindarico appena fatto (le citazioni dotte che riporto, la stessa aggettivazione utilizzata non è casuale, se non CULTURALE!) vuole mostrare quanto l’indifferenza e il disinteresse dell’attuale classe dirigente italiana (presupponendo che voi conosciate i risultati post Gelmini, le profezie ante e post premier…) fomenti la precarietà scolastica, lavorativa e personale. La precarietà personale penso sia alla base delle altre due precarietà, proprio perché dall’indecisione dell’individuo scaturisce l’impossibilità di scegliere per il proprio bene e al fine della propria realizzazione. È un circolo vizioso che arriverà a intorpidire le stesse coscienze familiari, ipotizzando un futuro alquanto prossimo dove il singolo precario, la propria famiglia precaria in TUTTI gli ambiti (in primis quello personale), non sarà mosso da altro che dall’inerzia e dal disinteresse. Combattere il disinteresse, ossia la precarietà personale e via dicendo, è possibile attraverso la cultura; una cultura coltivata, curata e da difendere nell’immediato. Una cultura da propagandare e da diffondere se, ahimè, anche la scuola, forno di caldi studenti… PRECARI nel progettare il proprio futuro, non fosse (ridaje) precaria…

Eccolo svelato l’arcano, la fonte da cui tutto nasce e a cui tutto ritorna: l’individuo è di per sé precario, cresce educato in una scuola precaria e vive lavorando da precario. Lavorando? Combatte per lavorare, se il disinteresse non arriva a divorare anche quel barlume di buonsenso e moralità di cui è gerla.

Se la cultura è realmente l’antidoto che ci libererà dalla condizione di non-interessati (parafrasando ed adattando l’espressione di NONMORTI), perché non viene più studiata? Come ogni medicina, la si collauda prima che venga resa disponibile al pubblico, la si esamina e la si perfeziona. La cultura ha dunque dei principi attivi propri:

1) l’esperienza: il primo capoverso lo ribadisce, il primo uomo che capì come cacciare, mangiare, cucinare e quindi mangiare meglio, fece cultura; essa ha radici antiche, storico – biologiche,nelle quali si radica la storia della nostre stesse civiltà e Nazioni.

2) l’attualità: un po’ come i biscotti della fortuna o per chi apre fortuitamente la Bibbia sperando dica qualcosa di propizio al momento, la cultura offre spunti di riflessione sempre attuali, adattabili (scegliendo secondo le proprie esigenze) all’epoca e al contesto nel quale ci si trova ad intervenire, per espletare il nesso costante tra passato, presente e futuro (celebrando così Bergson e il suo tempo a forma di flusso di emozioni e momenti arbitrario).

3) la costanza: anche se pochi sono i docenti e le menti rimaste libere, indenni dai colpi infertigli dal Ministero dell’Amore (ciao George), la cultura si divincola tra i neuroni di queste genti disponibili a far da tramite tra lei e gli alunni, i curiosi e chi ha ancora voglia di imparare, meravigliandosi di quanto bello sia sapere che saper fare con la conoscenza.

La cultura ha allora bisogno di un alloggio: modesto, accogliente, intimo da principio e via via sempre più esposto, che dia su una piazza magari o, perché no, sul mondo intero. La cultura qui, in città, si sedimenta nei luoghi pubblici, di aggregazione, di incontro, e deve essere messa a disposizione di tutti, a partire dalle nuove generazioni. Una biblioteca efficiente, un teatro VERO, con tanto di manutenzione perenne, uno stabile gestito interamente da giovani, dove vengano forniti servizi e divertimento; una nuova tattica del turismo giovanile, che attiri tanto le famiglie quanto i ragazzi che possano conciliare intrattenimento e cultura.

 

Spero di aver implicitamente trasmesso e riassunto in questo breve intervento il desiderio di ognuno di voi presenti: il bisogno di poter giudicare la propria città a misura di cittadino e di sapere.

Quando l’uomo nacque, aprì gli occhi e si guardò intorno, fece cultura

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