Intervista di Giovanni Padua a due anime della comunità albanese di Scicli – Seconda parte.
1) C’è stato un momento in cui hai sentito di essere “straniero/a” tra i tuoi coetanei? Ti andrebbe di parlarne e descrivere (anche brevemente) il contesto in cui hai provato questa sensazione?
Helena Sina Se nasci straniero rimarrai tale fino a quando muori e, per quanto sia difficile accettarlo, la gente ti guarderà sempre in quel modo ovunque tu vada e ovunque tu sia. Quindi si, ho provato spesso questa sanzione di esclusione o di essere di troppo come se qualcosa non andasse. Mi è successo soprattutto quando ero più piccola e i bambini non volevano giocare con me. Purtroppo quando succedono queste cose, specialmente nella testa di un bambino, nel corso del tempo gli effetti sono quelli dell’isolamento sociale e della sfiducia nelle persone, cose che portano il bambino o la bambina a crearsi delle barriere, a provare sensazioni di sconforto, di stress, ad avere insicurezze e a provare rabbia.
Isa Kaja Rispondendo di getto ti dico di sì, ci sono stati diversi momenti che mi hanno fatto sentire “straniero”. Con la parola “straniero” però non riesco a descrivermi a pieno perché secondo il mio punto di vista già la stessa parola porta un senso di disuguaglianza tra esseri umani. Comunque si ci sono stati vari momenti in particolare che hanno portato a sentirmi fuori luogo, mi hanno portato ad avere le medesime sensazioni specialmente quando si parla di culture e usanze diverse tra due popolazioni perché appunto nel paese in cui mi trovo ora spesso e volentieri non sono ben viste equamente da tutti. Io penso che non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, come invece accade con lo stereotipo che ci viene affibbiato come popolo albanese, stereotipo che ci avvolge ed è più che offensivo. Mi riferisco al fatto di parlare di gente albanese che ha compiuto un crimine o una male azione e giustamente la si disprezza, ma da lì a disprezzare una popolazione intera a causa di alcuni elementi che hanno sbagliato mi sembra esagerato. È lì che si fa di tutta l’erba un fascio! Diventando razzisti anche non volendo.
2) Quali ritieni siano gli stereotipi che vengono affibbiati alla comunità albanese nel tuo paese?
Helena Sina. L’Italia è un paese sempre più etnicamente e culturalmente plurale. Gli immigrati rappresentano oggi nel paese il 7% della popolazione residente. Al lungo e complesso processo d’inserimento nella società italiana contribuiscono notevolmente i mass-media. Questi ultimi però in che modo trasmettono l’immagine degli immigrati nelle loro narrazioni mediatiche? In quali contesti li presentano? E qual è la percezione che i lettori italiani ne traggono? L’analisi condotta sul contenuto informativo delle reti televisive pubbliche e private e sui giornali nazionali e locali di diverso orientamento politico fa emergere un accostamento quasi costante dell’immigrazione alla devianza e alla criminalità, nonché una tendenza a produrre immagini stereotipate e di conseguenza piena di pregiudizi: “non è questione di razzismo ma hanno una situazione diversa dalla nostra”, “Non sono razzista ma con loro non riesco a comunicare”, “Io non ho nulla contro di loro ma dì spacciatori italiani non se ne vedono più”, “Io non sono razzista ma è vero che ce ne sono troppi”. Su questo vorrei aprire una parentesi dicendo che l’Italia è uno dei paesi con meno immigrati rispetto agli altri paesi europei. Sono tante delle affermazioni e degli stereotipi che ci vengo attribuiti ogni singolo giorno.
Isa Kaja. Più di una volta mi è capitato di sentirmi dire: “Non ho nulla contro di voi albanesi, ma è risaputo che siete delinquenti”, questo solo per il semplice fatto di gente che ha sbagliato e di conseguenza siamo tutti a pagarne le conseguenze in modo indiretto. A volte con semplici frasi dette senza pensare, parole che feriscono più di una lama. Faccio l’esempio di un albanese che compra una macchina costosa, è una cosa normale in apparenza ma subito si va a pensare che per comprarla egli ha fatto escamotage e si dice: “L’avrà comprata spacciando o rubando”, quando invece c’è gente albanese che lavora e suda per integrarsi al meglio in Italia, un paese ormai “nostro” nel senso che ci sentiamo parte integrata con il semplice fatto di lavorare e rispettare la legge, io dico questo perché sono nato e cresciuto qui in Italia e a Scicli, un posto che mi ha visto crescere e diventare sua parte integrante. Io sono stato fortunato perché comunque sono riuscito a farmi una vita qui tranquilla e ho degli amici che mi fanno sentire parte di loro senza pregiudizi.
3) Prova a fare mente locale: qual è la prima immagine riguardante il paese in cui la tua famiglia ha le sue radici culturali? Qual è invece la prima immagine che ti viene in mente pensando al paese in cui vivi ora?
Helena. Una delle immagini più belle che mi viene in mente pensando al mio Paese di origine è la sua bellezza e la tranquillità, cose che non associo tanto a livello paesaggistico ma al contesto in generale. Ho avuto la possibilità di visitare il mio paese di origine nel corso degli anni in tutte le sue sfaccettature e ho scoperto una cultura piena di tradizioni profonde e soprattutto molto antiche. Per me l’Albania è casa, famiglia, tradizioni e tanto altro, che penso sia quasi impossibile descrivere le emozioni e sensazioni che provo pensando al mio Paese. Quando penso a Scicli rivedo una parte della mia vita, della mia quotidianità piena di ricordi, del mio essere e tutto ciò che ho vissuto e imparato qui. Anche se a volte il pregiudizio della gente mi ha portata a volermi allontanare da questo paese e fuggire in una realtà diversa.
Nelle risposte di Helena e Isa vi sono strutture che è possibile trovare in molti dei dialoghi tra seconde generazioni e interlocutori italiani. Ciò è indice di un’intolleranza che è sicuramente stata capace di alimentarsi a fuoco lento nel corso di questo primo ventennio del xxi secolo, un’intolleranza che nasconde una paura sorda cresciuta nel cuore dei cittadini italiani del nord e del sud.
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