Lo scorso 18 aprile è stata resa pubblica la relazione finale della Commissione Antimafia della Regione Sicilia sul ciclo dei rifiuti. Le 173 pagine della relazione sono dense di vicende e di fatti che ripercorrono gli ultimi vent’anni della gestione dei rifiuti in tutta l’isola. Un settore e un periodo di tempo che è stato storicamente interessato da interferenze tra interessi privati e amministrazioni pubbliche. Delle interferenze torbide che hanno contribuito ad alimentare un persistente senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni.
Nelle trentuno sedute svoltesi tra l’8 ottobre 2019 e il 26 febbraio 2020, la Commissione ha messo sotto la lente di ingrandimento tutti gli atti giudiziari accessibili nelle Procure e le relazioni delle precedenti legislature in tema di gestione dei rifiuti in Sicilia. A questi documenti prodotti dai magistrati si sono aggiunte le audizioni di cinque comitati civici e di cinquantadue persone tra giornalisti, amministratori e dirigenti. Una notevole quantità di informazioni che ha motivato, a detta della Commissione, i sospetti di un sistematico prevalere di ragioni d’impresa sull’interesse pubblico con l’aggravante dell’esposizione ad ingerenze mafiose di tali ragioni.
La relazione, approvata nella seduta del 16 aprile, ha messo in evidenza come una miscela di “inerzie, inefficienze e corruttele” tra imprenditoria e politica abbia rallentato qualsiasi riforma strutturale del ciclo dei rifiuti, che ha avuto come unica modalità di gestione quella del “massiccio conferimento in discariche private”. Una gestione stranamente monopolizzata da alcuni imprenditori sospettati di essere “consentiti, garantiti e protetti” dalle funzioni pubbliche di amministratori e politici. L’inchiesta cerca, quindi, di andare ad individuare gli atti illeciti e le forzature amministrative e di governo che hanno permesso di appaltare delle risoluzioni strategiche ad un livello decisionale parallelo.
La ricostruzione fatta dalla Commissione presieduta dall’on. Claudio Fava risale fino al 1999, anno in cui si comincia a parlare di “crisi dei rifiuti” in Sicilia. Il documento parte dalla constatazione che l’approccio strategico alla gestione dei rifiuti nell’Isola è stato da sempre caratterizzata dall’impronta emergenziale: l’appello all’emergenza, reale o paventata, ha svilito ogni soluzione di tipo strutturale e di lungo termine per ripiegare su politiche in contrasto con le intenzioni del governo nazionale di abbandonare il modello basato sulla “presenza di una discarica per ogni singolo comune” a favore della raccolta differenziata. In questo approccio emergenziale si inseriscono le deviazioni private e pubbliche documentate dalla Commissione in due sostanziose parti. La prima si occupa dell’analisi degli impianti privati, prendendo in considerazione la questione dei termovalorizzatori, delle discariche a gestione privata, della gestione dei servizi di raccolta nei comuni e delle sistematiche infiltrazioni mafiose o paramafiose che interessano il settore dei rifiuti nonostante “l’impegno […] davvero molto forte delle prefetture”. La seconda parte si concentra sulla valutazione dell’impianto di Bellolampo (PA), la struttura di Trattamento Meccanico Biologico (TMB) dei rifiuti di proprietà della Regione Siciliana.
Legami, scontri, smentite, personaggi pubblici e impiegati, semplici cittadini si affacciano sul proscenio raccontando una propria verità. Compito della Commissione è stato quello di distinguere i fatti, di legarli tra di loro e di presentare un quadro della vicenda quanto più chiaro e aderente possibile alla realtà. Si poteva fare di meglio? Forse, ma ciò non toglie nulla al lavoro svolto. Noi suggeriamo, innanzitutto, di andare a leggere in prima persona le pagine della relazione.
Scarica qui Relazione conclusiva dell’Inchiesta sul ciclo dei rifiuti nella Regione Siciliana.
Massimo Occhipinti
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