C’è la Grecia di Omero, di Pericle, culla della cultura e della democrazia. C’è la Grecia del sirtaki, della moussakà e del panighiri. C’è anche una Grecia ostile, che indossa abiti scuri e stivali pesanti. Una Grecia che si traveste da forze speciali e cammina lungo le strade rurali, stretta in pattuglie notturne alla ricerca di migranti cacciati dalla Turchia. La Grecia di Lesbo in questi giorni è stata protagonista della morte di un bambino di quattro anni, colpevole solo di aver tentato di attraversare il confine, alla ricerca di una vita migliore. Viaggiava con la sua famiglia e altre 48 persone a bordo di un gommone che è poi affondato. Che si scappi via terra o via mare, una cosa è chiara: non è più il 2015. Cinque anni fa, infatti, mentre più di un milione di richiedenti asilo scappava da guerre e carestie e giungeva miracolosamente sulle coste greche, gli isolani erano i primi a correre in loro aiuto. Fu lanciata persino una petizione affinché fosse riconosciuto loro il Nobel per la pace. In questi giorni però il clima sembra essere cambiato. La situazione è arrivata al collasso e sembra peggiorare ogni giorno. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha disposto l’apertura delle frontiere favorendo l’esodo dei profughi siriani, salvo poi ordinare alla Guardia Costiera di pattugliare le coste per impedire loro di tentare l’attraversamento del mar Egeo.
Lesbo e Chios sono state “assediate”. Il nuovo governo greco di centrodestra ha temporaneamente sospeso l’accettazione delle domande di asilo per un mese. Le violenze fasciste di Alba Dorata, partito greco di estrema destra, sono sempre più frequenti. La Grecia ha rafforzato i suoi confini e minaccia di respingere tutti coloro che tenteranno di superarli in maniera illegale.Sono circa 1.300 le persone che arrivano via mare ogni giorno: seicento solo a Lesbo, 9.877 respinte dalla guardia costiera greca, che pattuglia la zona e da giorni spara contro i gommoni. Centinaia di migranti sono detenuti temporaneamente nel porto di Mitilene. Frustrati ed esausti dai persistenti problemi della crisi del 2015, i greci, una volta generosi con i rifugiati, sono diventati ostili. Gli abitanti delle città avrebbero già formato pattuglie per braccare i migranti: molti isolani avrebbero istituito blocchi stradali per impedire loro di raggiungere i campi profughi, altri avrebbero attaccato fisicamente gli operatori umanitari, accusandoli di aiutare i rifugiati ad avanzare sull’isola.
La testimonianza
«Vi sono profughi stipati lungo la frontiera che giocano un ruolo di vittime in mezzo agli screzi tra Turchia e Unione Europea. I migranti sono esclusivamente degli strumenti di pressione nei confronti dell’Ue» racconta Valerio Nicolosi, foto-reporter attualmente impegnato a Lesbo e Evros per la realizzazione del suo Documentario “Frontiere, le vie per l’Europa”. «L’esercito greco ha più volte lanciato lacrimogeni, granate assordanti e pallottole di gomma» aggiunge. Nicolosi racconta che la polizia utilizzerebbe anche dei paramilitari, «degli esaltati armati» che di notte andrebbero a cacciare i migranti. «Ho conosciuto uno di loro» racconta Nicolosi, «fa il taxista di giorno e il “cacciatore di migranti” di notte».
I migranti che toccano la terra ferma sono relativamente pochi, dichiara il foto-reporter.
«Quando arrivano, la maggior parte di loro viene respinta; le persone che raggiungono l’isola via terra, vengono denudate, picchiate, e rimandate indietro. Tutta la frontiera, oltre 200 km, è militarizzata» e aggiunge «pochi giorni fa hanno deportato 500 persone da Lesbo con una nave militare in un centro di detenzione. Queste persone non potranno più chiedere asilo. E questo è la fine dello stato di diritto».
Lo stato di diritto manca drammaticamente anche a Moria, il famigerato campo profughi di Lesbo, sovraffollato ormai da anni: sono presenti più di 15.000 migranti, in una struttura che è stata progettata per ospitarne al massimo 3.000. Qui le condizioni sanitarie sono tragiche. Non mancano casi di autolesionismo dei bambini e i tentativi di suicidio da parte di ragazzini sono all’ordine del giorno. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), sempre attivo sul territorio, chiede al governo di trasferire almeno 20mila persone, sottolineando che al confine tra Siria e Turchia vi sono migliaia di persone ancora ammassate nella speranza di entrare in Grecia. Se alcuni organizzano blocchi stradali volti a impedire il cammino ai migranti, altri si scagliano anche contro giornalisti e attivisti. A Lesbo, è stato brutalmente picchiato un foto-reporter tedesco ed è stato aggredito anche il capo locale dell’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite. Sono molti gli operatori umanitari fuggiti dall’isola. Alcune delle organizzazioni non governative, preoccupate per la loro sicurezza, hanno deciso di evacuare il personale e i loro volontari. I contadini locali schierano i loro trattori, ciascuno ornato da una piccola bandiera greca, e dichiararono di essere pronti a combattere per proteggere il paese. Per la maggior parte di loro, è più una questione di orgoglio nazionale e un dovere quello di proteggere i propri confini contro la Turchia, antico nemico. L’esercito greco mantiene così le sue truppe sul vasto delta verde del fiume Evros, parte della frontiera settentrionale, fiero di essere portavoce di una nuova “battaglia” sovranista, volta a portare l’Ue alla paralisi. Un braccio di ferro che si gioca sulla pelle di migliaia di persone, utilizzate come arma di pressione sull’Europa.
Francesca Moriero
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