«Non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che, pur vedendo, non vedono»
La mole incontrollabile di informazioni disponibili nell’era digitale e le manipolazioni degli odierni comunicatori, che fanno il loro mestiere con sempre meno senso della responsabilità, diventano costantemente più problematiche per l´Homo Digitalis. Il caso del Coronavirus e la psicosi collettiva che ne è seguita lo illustrano in maniera eclatante: questa volta pseudo-epidemiologia e notizie false (vedi le dichiarazioni dell´OMS) si sono addirittura mischiate a una buona dose di razzismo per il “cinese” e per il sempreverde migrante. Un antidoto a questo caos sedicente post-ideologico è sicuramente rappresentato dal giudizio critico. Eredità dell’illuminismo e skill tanto apprezzata dai responsabili HR la capacità di giudizio critico ha ancora nella scuola e nella cultura un ultimo, seppur traballante, baluardo. Nella letteratura, poi, abbiamo a disposizione la palestra preziosa dell’allegoria, vecchia quanto l’uomo ma ancora educativamente valida. E Saramago ne rappresenta uno dei migliori interpreti del nostro tempo.
Lo scrittore portoghese, scomparso quasi dieci anni fa, ha iniziato la sua attività giornalistica e letteraria sotto la censura della dittatura fascista di Salazar ed è stato insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1998. Affrontando temi attuali come l’indifferenza e la sete di potere ha messo a frutto la sua attitudine a stimolare la conoscenza di “realtà difficili da interpretare” che si mostra già nel suo stile peculiare: i nomi dei personaggi vengono solitamente sostituiti da epiteti descrittivi e i dialoghi non sono indicati attraverso la punteggiatura, ma sono separati da virgole. Il lettore è costantemente sollecitato da Saramago a trovare un ordine sintattico al caos stampato che gli si presenta sul foglio senza che ciò risulti, però, particolarmente faticoso. Si sente una sensazione di oralità dei dialoghi e ci si trova maggiormente immersi nello svolgimento degli eventi, liberi dall’onniscienza del narratore.
L’Ensajo sobre a Cegueira del 1995, tradotto in italiano con il titolo Cecità per conto della Feltrinelli, affronta proprio i temi della perdita del senso di solidarietà e il ruolo del potere nella società contemporanea. La storia è ambientata in una città e in un tempo non meglio precisati, ma che rispecchiano la nostra organizzazione sociale. Una strana forma di cecità, che non oscura ma abbaglia, inizia a diffondersi tra la popolazione senza che si riesca a dare una spiegazione epidemiologica. Ciò indurrà ben presto il governo a trattare la questione dal punto di vista sanitario e a prendere delle misure “igieniche”. I nuovi ciechi e i presunti contagiati vengono stipati all’interno di un manicomio abbandonato e sottoposto al presidio dell’esercito. La gestione del cibo e della vita comune diventano delle questioni impellenti, da affrontare con un’essenziale esigenza di giustizia ma con un senso mancante. L´immagine della dea bendata potrebbe venire in soccorso dell´intreccio ma l’istinto di sopravvivenza prende la meglio e sottopone ad una prova estrema il senso della pietà e della dignità umana. Gli uomini e le donne della storia precipitano in una nuova forma di barbarie. Merda, astenia e violenza si propagano rapidamente in un mondo senza colore in cui ogni faticosa conquista porta con sé una dolorosa contropartita. Ben presto non si riesce più a capire se il racconto delinea i tratti di una malattia del corpo o di una degenerazione spirituale, se stiamo leggendo un prodotto dell´immaginazione umana o la cronaca in tempo reale della nostra epoca.
Ecco che in Cecità emergono le questioni fondamentali del Novecento, ma che sono ancora valide per i decenni del Duemila. Innanzitutto, la gestione economica e biologica del corpo e delle popolazioni da parte del potere costituito che affonda le radici sui crimini perpetrati durante la seconda guerra mondiale: la “quarantena” e la gestione dei “malati” fanno pensare inevitabilmente ai Lager nazisti e ai criteri della Soluzione Finale; mentre il tentativo di organizzare una nuova forma di convivenza a fronte di un costante aumento della popolazione e di una carenza di risorse rimanda a questioni che suonano più familiari ma rispetto alle quali siamo indietro di circa mezzo secolo; senza tralasciare l’indifferenza e la sopraffazione che alimentano la crescente quota di individualismo delle nostre comunità. Il romanzo di Saramago si rivela essere fondamentalmente una riflessione veramente critica sul potere, sulla società contemporanea e le sue forme di controllo e gestione delle risorse, delle informazioni, della giustizia, della libertà, della cultura etc. Forse il Mal Bianco è il nostro vero problema, la nostra vera epidemia: lo scintillìo dell’età neo-liberista non ci consente di vedere le ingiustizie del nostro tempo. Cecità di Saramago rappresenta un’importante fonte da cui attingere per cercare di comprende noi stessi e le nostre società ma ci permette allo stesso tempo di stimolare l’esercizio della Memoria senza cadere in vuote retoriche.
Massimo Occhipinti
Be First to Comment