Quest’anno Babbo Natale è stato molto generoso e ha portato con sé, soprattutto nella manovra di bilancio, tanti bei regali per gli italiani, nonostante, alcuni di essi non rispettino le norme. Mi riferisco ai regali fatti alla mafia, alla corruzione e all’abusivismo, che rischiano di essere scartati tra l’indifferenza della gente e dell’opposizione.
In particolare sono tre le misure che porteranno tanti doni a questi soggetti. Il primo regalo è avvenuto con il Decreto Sicurezza, di cui si è parlato tanto in ottica immigrazione, dimenticandoci di criticare una misura altrettanto grave, ovvero la norma (art.36) che amplia la platea dei potenziali acquirenti dei beni confiscati includendo la possibilità di vendita a privati. È evidente che chi ha scritto questa norma non comprende a pieno la densità e la capillarità del fenomeno mafioso nella nostra Penisola, non a caso qualche settimana fa, lo stesso Salvini, ideatore del Decreto Sicurezza, ha dichiarato di poter sconfiggere la mafia nel giro di qualche mese. Dimostrando per l’ennesima volta che più che fare il politico continua a fare marketing, vendendo fumo agli italiani.
È inutile dire che queste organizzazioni criminali si servono spesso di prestanome e società “fantasma” dietro i quali si nasconde il loro enorme business illegale, con la possibilità che attraverso questi si possano rimpossessare dei beni perduti. Nel 1996 la legge 109/96 disponeva chiaramente la “destinazione a finalità sociali dei beni confiscati”, una norma importante che afferma il potere dello Stato e della legalità su quello criminale mafioso. Una norma che intende restituire alla collettività un bene costruito sulla pelle dei cittadini.
I numeri dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC) ci dicono che soltanto nel 2018 sono stati destinati 2,233 beni immobili confiscati, numeri non indifferenti e che certamente riscontrano un giudizio positivo. Tuttavia, qualora anche il prossimo anno sarà distribuito lo stesso numero di beni confiscati, o su per giù, e una parte di essi dovesse essere destinata ai privati, non esiste un metodo efficace che garantisca che questi beni non ritornino in mano ai mafiosi attraverso artifizi e stratagemmi. Un pericolo concreto che non può essere assolutamente sottovalutato dalle istituzioni.
Se l’intento è quello di sbloccare situazioni in cui questi immobili sono impantanati e non riescono ad essere ridistribuiti, non è questo il sistema attraverso il quale dovremmo procedere. Occorrerebbe accelerare il procedimento burocratico di assegnazione, fare bandi con cui i piccoli comuni riescano effettivamente a dare alla cittadinanza questi luoghi e soprattutto tutelare chi avrà in bene l’immobile. Molti sono infatti i casi in cui cooperative e aziende a cui vengono assegnati tali beni, subiscono poi minacce e attentati incendiari, vivendo perciò in una situazione di continuo allarme con un rischio concreto alla propria incolumità. Sono proprio queste minacce che spesso spingono Associazioni e Organizzazioni a non fare domanda per l’approvvigionamento di un bene confiscato. In un Paese in cui si tende a privatizzare quasi tutto, è giusto che i beni in questione siano restituiti ai cittadini e non al privato, perché la lotta alla mafia passa anche per la confisca e la riconversione di essi. “La vendita di quei beni – si legge nel comunicato di Libera– significherà una cosa soltanto: che lo Stato si arrende di fronte alle difficoltà del loro pieno ed effettivo riutilizzo sociale, come prevede la legge. E il ritorno di quei beni nelle disponibilità dei clan a cui erano stati sottratti, grazie al lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura, avrà un effetto dirompente sulla stessa credibilità delle Istituzioni. Insomma, un vero regalo alle mafie e ai corrotti”.
Il secondo regalo è legato invece alla nuova norma finanziaria (di cui abbiamo già parlato qui) che prevede l’innalzamento della soglia dell’affidamento diretto fino a 200 mila euro per i lavori, servizi e forniture senza dover ricorrere a bandi. L’obiettivo di questa misura è quello di accelerare i tempi di assegnazioni dei lavori soprattutto nei piccoli Comuni, dove talvolta ci vogliono tempi troppo lunghi per completare, ad esempio, il manto o la segnaletica stradale di una Via o Piazza. Una misura che rischia di affidare fuori controllo lavori e servizi per circa 7 miliardi di euro come sottolineato dal Fatto Quotidiano.
Innalzare la soglia massima consentita fino 200 mila euro rischia però di essere l’ennesimo regalo al clientelismo corruttivo e alle mafie. Due cancri che attanagliano e avvelenano il Paese da oramai troppi decenni. È chiaro ed esplicito l’appello del grillino Nicola Morra: “In merito all’innalzamento della soglia di valore per l’affidamento diretto dei lavori pubblici, non posso che esprimere grave preoccupazione. Preoccupazione condivisa anche dall’ANAC. Da Presidente della Commissione Antimafia mi adopererò per promuovere modifiche”. “Questo innalzamento – continua Morra– rivela una sottovalutazione del rischio di come queste nuove regole possano favorire le organizzazioni mafiose, da sempre attente al mondo delle opere pubbliche”. È importante, perciò, non cadere nella trappola di fare le cose veloci e di accelerare i tempi calpestando i principi base di trasparenza, legalità e concorrenza, come spesso accade nel nostro Paese, con il risultato di ottenere opere inefficienti, approssimative o inficiate da un vizio di legalità.
Il terzo regalo è avvenuto con la modifica della norma “anti-Bolkestein”, secondo cui le concessioni demaniali marittime sono state prorogate per altri quindici anni.
Negli ultimi anni gli stabilimenti balneari sono stati al centro di molte indagini condotte dalla Guardia di Finanza con accuse di abusivismo, corruzione e non di meno di associazione mafiosa. Basta pensare agli stabilimenti gestiti dai clan Fasciani e Spada ad Ostia, inchieste raccontate magistralmente da Federica Angeli, giornalista di Repubblica che proprio per questo vive sotto scorta da oltre tre anni. Urge perciò una misura normativa che regoli e controlli tutti gli stabilimenti balneari affinché non si trasformino in fonte di guadagno per i boss locali di turno o diventino un sistema efficace di riciclo di denaro sporco.
A nulla sono servite le proteste di Legambiente e di altre associazioni ambientaliste che chiedevano di rivedere le concessioni attraverso un provvedimento legislativo per stabilire tariffe più alte (canone demaniale non più a 2,50 euro al metro quadro ma 10), diminuire l’estensione di alcuni stabilimenti che danneggiano le dune circostanti e rivedere le condizioni delle strutture.
A nulla serve, quindi, un bagno in piscina, o salire su una ruspa per demolire le case abusive dei Casamonica, azioni volte soltanto a creare stupore mediatico e fonte di consenso, se con l’altra mano si scrivono e firmano decreti che, nell’effettivo, rendono la vita più semplice a mafiosi, corrotti e truffatori.
Youssef Hassan Holgado
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