Era il 14 ottobre 2011 quando il procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, chiedeva alla Corte di appello di Catania la revisione dei processi per la strage di via D’Amelio. Nel 2008 la dichiarazione del pentito Gaspare Spatuzza aveva messo in dubbio tutto l’impianto dei precedenti processi, affermando che le rivelazioni di Vincenzo Scarantino e Salvatore Cantura, anche loro collaboratori di giustizia ed attori protagonisti nei precedenti procedimenti, erano false e avevano portato a condanne erronee. Spatuzza si autoaccusò del furto della Fiat 126, quella utilizzata per l’attentato, su incarico dei fratelli Graviano, scagionando così Luciano Valenti e Salvatore Candura, che non furono mai incaricati da Scarantino di compiere tale furto su ordine di Salvatore Profeta. Quando nel 2011 alle dichiarazioni di Spatuzza si aggiunsero le confessioni di Fabio Tranchina, uomo di fiducia della famiglia Graviano, il quadro risultò più credibile e dettagliato.
Dalle ricostruzioni dei due pentiti rimane principale protagonista della strage Giuseppe Graviano, accusato ancora una volta di essere stato proprio lui ad azionare l’innesco per l’esplosione. Le incongruenze, le interferenze e i depistaggi riemergono inquietanti, così come riemergono i nomi, ormai noti, di membri delle forze dell’ordine, accusati di essere compiacenti col sodalizio mafioso, come Arnaldo La Barbera, che negli anni delle stragi fu capo della squadra mobile di Palermo, e dei suoi sottoposti, Salvatore La Barbera, Mario Bo e Vincenzo Ricciardi. Nel 2013 le rivelazioni di Candura, fino ad allora ritenuto uno dei responsabili del furto della vettura utilizzata come autobomba, misero sotto la lente d’ingrandimento l’operato di La Barbera. Infatti Candura, ritrattando le dichiarazioni di diversi anni prima, dichiarò di aver ricevuto pressioni e minacce da parte di La Barbera per incolparsi di tale furto, e quindi dichiarandosi innocente ed estraneo all’accaduto. Le parole di Candura tirano in ballo anche gli agenti Bo, Valenti e Militello. Nel processo Borsellino quater entrò, nel 2013, anche la vicenda della scomparsa dell’agenda rossa, il diario dove Borsellino conservava pensieri e riflessioni personali, che ha visto già in passato un processo a carico del colonnello Arcangioli, tuttavia prosciolto dal Gip di Caltanissetta nel 2008, che tirò in ballo il magistrato Giuseppe Ayala. L’enorme vicenda giudiziaria prosegue negli anni, con prese di posizione, a volte ingenue o frettolose, come quella dell’avvocatura di Stato che ancora prima della chiusura del I grado di giudizio, dichiarava inesistente sia la trattativa Stato-mafia sia il depistaggio di Stato. Nel dicembre 2015 il gip di Caltanissetta archivia l’inchiesta a carico dei 3 poliziotti Bo, Ricciardi e Salvatore La Barbera, trovando le accuse di Scaratino e Candura contraddittorie e insostenibili in sede processuale.
Nell’aprile del 2017 il processo giunge al termine e la Corte d’Assise di Caltanissetta condanna all’ergastolo i boss mafiosi Salvatore Madonia e Vittorio Tutino (che si aggiungono ai soliti noti Brusca, Santapaola, Provenzano, Riina, Graviano e i numerosi membri dell’allora cupola mafiosa). Le pene arrivano anche per i falsi pentiti Pulci e Andriotta, mentre la Corte riconosce a Scarantino l’attenuante di essere stato indotto a indicare false accuse, anche se i reati di cui era accusato tuttavia sono stati prescritti. Nelle motivazioni della sentenza (luglio 2018) i giudici non si tirano indietro affermando che “le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino sono state al centro di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, indicando come manovratori di questo “disegno criminoso degli investigatori”, ovvero “soggetti inseriti negli apparati dello Stato”. Resta infatti da capire chi e perché abbia indotto Scarantino a depistare le indagini, e se le accuse a Ricciardi, Bo, e S. La Barbera sono cadute; il ruolo di Arnaldo La Barbera rimane sotto i riflettori degli inquirenti. La Corte infatti rileva come anomale le circostanze in cui l’ex capo della squadra Falcone-Borsellino abbia incontrato Scarantino “nonostante il fatto che egli già collaborasse con la giustizia”, arrivando così a dichiarare che La Barbera ebbe “un ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa”. A pochi giorni dalla pubblicazione delle motivazioni, l’onorevole Claudio Fava chiese ai vertici dei servizi segreti di presentarsi alla commissione regionale antimafia, dichiarando, a margine dell’audizione di Fiammetta Borsellino, che “i servizi non possono non sapere”. La lunga vicenda della strage di via D’Amelio sembra destinata a continuare: il lavoro di investigatori e della magistratura sta permettendo di superare quella cortina di fumo che per anni aveva reso l’attentato impossibile da inquadrare a pieno, le rivelazioni sulle responsabilità di uomini dello Stato stanno mostrando quando complessa e articolata fosse in quegli anni la rete di rapporti di contiguità tra mafia, politica e istituzioni.
Salvatore Schininà
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