Indipendentemente dal fatto che Roberto Saviano possa piacere o meno, dal fatto che sia simpatico o antipatico, o che sia odiato o amato, una cosa è certa: i suoi libri, a partire da Gomorra, hanno fatto luce su dinamiche mafiose rimaste nascoste volutamente da anni. Nei suoi testi Saviano ha ritratto il volto più brutto dell’Italia senza fare sconti a nessuno e proprio per questo si trova sotto scorta da oltre dodici dopo le minacce subite dal clan dei Casalesi.
Un giornalista o scrittore deve sempre essere protetto dallo Stato, a prescindere dal suo “colore politico” e dalle sue opinioni. Inoltre, lo Stato non solo deve garantire la sua incolumità personale ma anche la piena libertà di espressione, senza pressioni o minacce, principi, questi, che sono tra l’altro tutelati dalla nostra Costituzione. Non è forse la libertà di espressione uno dei pilastri portanti della democrazia? Non è forse quest’ultima che ci distingue dagli Stati che definiamo autoritari o a regime dittatoriale? Negli ultimi cinque anni sembra che ci stiamo muovendo in direzione opposta, il ruolo della stampa è stato denigrato in una maniera esagerata e molto spesso infondata, molti giornalisti sono stati definiti “giornalai” o “venduti” da politici e membri delle istituzioni che non hanno risparmiato di bollare come “fake news” qualsiasi notizia a loro scomoda.
Leader politici hanno aizzato campagne contro i media, partendo da Grillo fino ad arrivare a Salvini, molti hanno contribuito a screditare il lavoro e a mettere in dubbio la veridicità degli articoli scritti dai professionisti della carta stampata. È notizia recente il fermo di tre giornalisti del Fatto Quotidiano, Repubblica e La Stampa, da parte Guardia di Finanza e interrogati per oltre tre ore perché stavano seguendo le indagini della Procura di Genova sui flussi finanziari sospetti della Lega. Non è forse questo un tentativo di mettere un bavaglio ai giornalisti italiani? Non è un caso infatti se l’Italia si trova al 62esimo posto nella classifica per la libertà di stampa, questo perché i giornalisti sono continuamente esposti a querele da parte di politici e a minacce da parte della criminalità organizzata. La scorta affidata a giornalisti come Roberto Saviano, Federica Angeli e Paolo Borrometi dimostra che la strada verso la libertà è ancora lunga e che chi cerca di portare alla luce verità scomode rischia la propria vita. Proprio per queste ragioni, un ministro dell’Interno, non può fare dichiarazioni per “antipatia politica”; non scordiamoci che se anche molti di noi non lo hanno votato, deve rappresentarci e tutelarci tutti alla stessa maniera, senza discriminazioni e forse il “purtroppo i rom italiani dobbiamo tenerceli” dimostra che in fondo Salvini ne è consapevole.
Negare la scorta a un giornalista minacciato dalla mafia è un atto vile, vergognoso e arrogante. Purtroppo però, non ce ne rendiamo conto, dato che a molti hanno fatto piacere le dichiarazioni di Salvini e temo che questo dato sottolinei che forse non ci stiamo rendendo conto della strada che stiamo intraprendendo e che le parole violente espresse in queste prime settimane di vita del “governo del cambiamento” rischiano di essere troppo sottovalutate.
Dare una possibile gioia alla Camorra è uno degli atti più schifosi che ci possano essere e poco conta se alla fine Salvini ritornerà sui suoi passi, i danni li fanno anche le parole, soprattutto nel clima teso in cui stiamo vivendo. Togliere la scorta a Saviano significa delegittimare il suo lavoro e intraprendere una politica di “appeasement” nei confronti della mafia, d’altronde, è troppo facile parlare quando si sta una “pacchia”.
Youssef Hassan Holgado
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