“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica […]” (art. 10 Costituzione della Repubblica Italiana).
È inevitabile continuare a negarlo, la nostra scialba e lasciva agiatezza ci ha anestetizzato all’empatia, privandoci della meravigliosa capacità che ci rende umani: la sensibilità. Ci siamo trasformati in spettatori orbi, imperterriti dinanzi alle atrocità di questo mondo tanto sofferente. Restiamo immobili alla vista del feretro di un bambino che giace su una spiaggia, morto nella ricerca, molto spesso suicida, di un futuro migliore. Perché? ci domandiamo. Com’è stato possibile giungere a questo punto? La risposta a questo interrogativo è tanto semplice quanto brutale: la minimizzazione. Siamo stati talmente abituati nel tempo dalla mala politica del qualunquismo spudorato e del demagogismo più becero, a classificare le atrocità che ci si parano davanti come “normali”; poiché magari non ci tangono direttamente. È forse il più grande male del XXI secolo, il virus più contagioso e letale che dall’alba dei tempi è presente nelle pagine più oscure della storia umana: l’indifferenza. Siamo ammalati d’indifferenza, nella sua accezione gramsciana, quella che il filosofo di Ales s’impegnò una vita a combattere e denunciare, fino alla morte.
Il passo poi è breve, è così facile trasformare quell’indifferenza in odio che difatti è già accaduto. Perché quando i corpi riescono a toccar terra, arrivano fino alla porta accanto e gridano la loro disperazione: aspettano una mano tesa che rechi loro conforto, molto spesso però, quello che ricevono è uno schiaffo. Poiché la stessa politica becera si erge a difensore della patria, il popolo-gregge che affogava nell’indifferenza e nella passività, tutto d’un tratto s’infiamma e comincia a menar schiaffi sui quei volti, che videro solo sofferenza e morte. E ci si meraviglia se qualcuno ricorda loro, che anch’esse sono persone, hanno dei diritti, necessitano di aiuto e meritano la pace.
A ricordare loro queste cose, ci ha pensato anche la manifestazione del 16 dicembre a Roma, dove un gruppo compatto nella sua diversità, ha manifestato a gran voce e pacificamente la necessità di restituire importanza e uguali diritti a chi è stato abbandonato da questo Stato. Si è manifestato per tante ragioni, dallo sdoganamento dell’indifferenza citata, all’abbattimento dei muri ideologici e fisici che sono eretti nel mondo, per gridare il proprio sdegno a un’Europa che ha fatto delle politiche antisociali il proprio credo, partorendo decreti ministeriali come quello Minniti.
Non si parla d’altro, i giornali e i mass media continuano a citarlo da quando è entrato in vigore nella primavera scorsa (grazie all’ennesimo voto di fiducia al Senato, tanto caro a questo governo). Perché fa discutere tanto? Se da un lato vi sono alcune iniziative che possono anche rappresentare una valida risposta alle emergenze di cui è subissata la nostra penisola, dall’altro alcuni punti come l’abolizione del grado di appello per i ricorsi di coloro che fanno richiesta dello status di rifugiato, la trasformazione dei CIE in CPR (Centri d’Identificazione ed Espulsione e Centro di Permanenza per il Rimpatrio) e l’istituzione delle ventisei sezioni specializzate, non possono che far giustamente discutere. Sarebbe davvero interessante interrogare il Ministro dell’Interno, ad esempio, su come pensa di effettuare i rimpatri in mancanza di un patto bilaterale tra il paese d’origine e quello d’arrivo, o magari sulla legittimità giuridica ed etica che le sezioni di collocamento hanno dinnanzi ai tribunali nazionali, e inoltre come fa ad essere garantito ad un “aspirante richiedente asilo” l’articolo III della nostra (non più) sacrosanta Costituzione, che recita che la legge è uguale per tutti senza distinzione alcuna, quando non può ricorrere al grado di Appello?
Certo è che se ci professiamo un paese libero, se riconosciamo uguali diritti per tutti, se realmente riconosciamo nella nostra Costituzione la carta fondante della nostra Repubblica; non si può certo negare che il decreto in questione stona su quanto citato e rasenti una discriminazione bella e buona nei confronti di coloro che una voce per difendersi non l’hanno.
Lorenzo Sagnimeni
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