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Bavagli e detenzioni in Turchia, parla Riccardo Noury di Amnesty International Italia

Lo scorso 2 maggio a Roma si è tenuto un sit-in in solidarietà dei 149 giornalisti arrestati dal regime turco di Erdogan. Le recenti tensioni registrate in Turchia, soprattutto dopo il risultato positivo del referendum costituzionale e l’incarcerazione di molti giornalisti appartenenti a testate indipendenti e al mondo dei media hanno suscitato l’indignazione degli attivisti dei diritti umani. La detenzione ingiustificata di Gabriele Del Grande,  la repressione turca, la 52esima posizione dell’Italia nella classifica mondiale per la libertà di stampa, sono tutti fattori che continuano ad agitare la società civile, che per questo ha deciso di scendere in piazza. Alla manifestazione davanti a Montecitorio erano infatti presenti i rappresentanti di varie associazioni (Amnesty International, FNSI, Articolo 21, NoBavaglio e tante altre), che a turno hanno letto la lista dei nomi dei giornalisti detenuti in Turchia. Dopo che Riccardo Noury, Portavoce di Amnesty International Italia, ha letto alcuni nomi della lista, siamo riusciti a fargli qualche domanda:

Cominciamo con una domanda tecnica: secondo lei, il ricorso alla CEDU (la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ndr) potrebbe essere un punto di svolta positivo per i giornalisti Turchi?
Ne dubito perché la Turchia non ha intenzione di collaborare con le istituzioni giudiziarie e soprattutto credo che ci vorrebbero anni per arrivare a un giudizio, che certamente sarebbe di condanna. Però credo che ora occorrano misure immediate, politiche, che non devono dimostrarsi docili solo perché L’UE ha stipulato un accordo con la Turchia per trattenere i migranti che si affacciano sulla frontiera marittima europea. Il punto è che la Turchia è diventata più importante per l’Europa di quanto questa lo sia per la Turchia.

I leader politici europei sono forse troppo immobili sulla questione?
Sì, fondamentalmente sì. Ci sono delle proteste sul tema su cui è più facile indignarsi che è quello della pena di morte. Però credo che ci sia un equivoco di fondo, cioè si dice che se la Turchia ripristina la pena di morte è finita per il suo ingresso in Europa. L’ingresso in Europa non è la priorità per la Turchia che sta guardando alle sue spalle, perché c’è un mondo turcofono, culturalmente e politicamente vicino di cui vuole diventare leader e in parte già lo è. Però certo, l’immobilismo c’è ed è dovuto al compito che le abbiamo affidato di cui ne parlavo prima, che impedisce di prendere una decisione molto netta sul tema della violazione dei diritti umani.

L’Italia si attesta al 52esimo posto nella classifica della libertà di stampa, secondo lei è un dato che rispecchia la realtà attuale?
Intanto il tema per il quale l’Italia è in questa posizione, che sicuramente non è onorevole per un Paese membro dell’Unione Europea, è legato alla quantità di giornalisti che subiscono minacce, intimidazioni e attentati. Tutto questo chiama in causa la necessità e l’obbligo per il Governo italiano di adottare misure di protezione adeguate. Se ciò non viene fatto, diventa un problema.
Non è soltanto la criminalità che attacca i giornalisti, ma è anche l’inadeguatezza delle misure di protezione a determinare quella posizione in classifica.

Quindi in definitiva la situazione è preoccupante secondo lei?
Sì, devo anche aggiungere che non di rado, in Italia, assistiamo anche a degli attacchi verbali, che non di meno sono pericolosi nei confronti dei giornalisti. Chi ha responsabilità politiche dovrebbe avere un linguaggio consono alle sue responsabilità.

Si riferisce a Grillo e ai 5 Stelle?
Mi riferisco a quanto ha detto Grillo a Livorno e non è stata nemmeno l’unica volta. In generale i giornalisti meriterebbero più rispetto. Ripeto, chi ha compiti istituzionali assuma un linguaggio istituzionale e contribuisca a onorare questa professione anche favorendo tutte le misure necessarie per proteggerla.

Intervista di Youssef Hassan Holgado

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