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Migranti: Mediterraneo rosso sangue

“Altri 200 morti, assiderati o annegati vicino alle nostre coste. La loro nazionalità, appartenenza politica, etnica, religiosa non mi interessa affatto. Sono esseri umani in pericolo, viaggiano in condizioni disastrose che spesso diventano tragedie, vanno a picco in fondo al mare. […] Ma dove è l’Europa, e dove è l’Italia? Gli stessi Paesi che ogni anni spendono miliardi dei cittadini per fare la guerra high-tech ad altri cittadini sono poi incapaci di portare soccorso a un evento già noto, e che si ripeterà di nuovo, presto? Io mi vergogno di essere italiano, mi vergogno di far parte di questa Europa indifferente alle sofferenze e complice di stragi.”

Gino Strada

CIMITERI GALLEGGIANTI 

Se il mare potesse venir riempito di croci, come un normale cimitero, la sua superficie sarebbe in gran parte ricoperta e riempito da lapidi senza nome o epitaffio alcuno. Il mare sta diventando sempre più un cimitero galleggiante, fatto di tombe invisibili e senza identità. I numeri delle stragi in mare, dei migranti ridotti a vittime di commercio di carne umana e morti nel tentativo di giungere ad una infausta ed ingrata terra promessa, sono oramai insostenibili, da bollettino di guerra: una vera e propria ecatombe. Fin qui ci siamo mossi soltanto, purtroppo, nella giungla della retorica che ha affollato tutti i notiziari, che raccontano la morte come se fosse un evento lontano, un romanzo di cronaca nera. Il rischio è quello di rimanere in questa maledetta zona grigia da telegiornale della sera, dove gli uomini diventano numeri, i numeri statistiche e le statistiche marciscono nel maleodorante ristagno del dimenticatoio. Eppure capire quei numeri, contare quelle vittime (lontani dalla retorica dello “stare sulla notizia”) devono far riflettere, devono essere sdoganati da quel mero fatto singolo che l’uomo (ignorante) medio guarda impassibilmente alla “cattiva maestra” televisione, come la definirebbe Karl Popper. Nell’insensibilità e nell’indifferenza dell’uomo comune abbiamo preso atto che la morte di migliaia di vite diviene sfogo per un minuto di improduttiva indignazione. Nel peggiore dei casi è accolta quasi con fastidio, come una perturbazione passeggera nella metropoli individualista che rappresenta il nostro vivere quotidiano. Oppure, peggio del peggio, questa sempiterna tragedia è vissuta come una “benedizione”: meno migranti arrivano e più ne muoiono, meno si spreca e più si risparmia. L’essere (dis)umano medio(cre) assorbe queste disgrazie allo stesso modo di uno spot pubblicitario.

I NUMERI DI UNA QUOTIDIANA CATASTROFE

Di numeri, alla fine, si deve pur parlare. Sperando di riuscirci lungi dall’insostenibile e vacua retorica di queste grottesche settimane. Gli affondamenti avvenuti tra il 14 e il 19 Aprile 2015 sono solo l’ultima intollerabile successione di partenze, naufragi e morte che da ormai vent’anni costellano il Mediterraneo. Il bilancio dei naufragi, ancora da verificare nella sua disarmante enormità, potrebbe toccare la quota di mille morti nel giro di qualche giorno, tutti sprofondati in mare in questi due ultimi e pesantissimi inabissamenti. Basti considerare che se questi numeri venissero confermati, quella del 18 Aprile (con circa 700-900 probabili vittime) potrebbe diventare il più grave disastro nella storia delle migrazioni nel canale di Sicilia. E qualche giorno prima le vittime ipotizzabili sarebbero state almeno 400. Tornando indietro nel tempo i numeri non migliorano. Il 3 Ottobre 2013 porta la data di quella che, fino a qualche settimana fa, era considerata la più grande tragedia nella storia delle migrazioni verso la Sicilia: 366 le vittime, annegate a poche miglia dall’Isola di Lampedusa e dall’Isola dei Conigli. Questa strage è anche quella che ha portato l’ondata di sdegno e di indignazione più grandi mai visti per un evento di questa portata. Anche se, al solito, poche settimane fa tutto era già stato dimenticato con buona pace dei morti in mare. Era stata persino rafforzata (seppur meno che nei fatti) l’Operazione Mare Nostrum, naufragata pochi mesi dopo anch’essa sugli scogli del nuovo piano improbo e fallimentare dal famigerato nome Frontex Plus. Il mare, però, non ha inghiottito solo queste vite. L’atroce viaggio nel tempo continua con gli sconvolgenti sbarchi in quella stessa maledetta estate 2013. Ad Agosto a Catania sei migranti muoiono annegati a pochi metri dalla spiaggia della Playa tra lo sconcerto (forse anche un po’ il fastidio, purtroppo) generale dei bagnanti del Lido Verde. A fine settembre la stessa improba sorte tocca ad altri 13 migranti, morti a pochi metri dalla battigia del litorale di Scicli, in provincia di Ragusa. Questo inaudito viaggio nel dolore tocca molte altre tappe, che per dovere di sintesi, dobbiamo trascurare. A parte due episodi che hanno macchiato di sangue le coste italiane in maniera indelebile. Una è la tristemente nota Strage di Natale, occorsa a Portopalo di Capo Passero, in provincia di Ragusa, tra il 25 e il 26 dicembre del 1996: almeno 289 persone affondano con i loro sogni e le loro speranze in un abisso di morte e acqua senza fondo. Qualche mese dopo, il 28 Marzo 1997, altri 81 migranti, fuggiti via da un’Albania in pieno caos, trovano la morte a largo di Otranto, in quello che diventerà noto come Naufragio della Katër i Radës, con l’Italia direttamente colpevole per lo speronamento operato ai danni della carretta di migranti dalla nave della Marina Militare Italiana chiamata Zaffiro. Queste e tante altre sono le storie di morte che hanno tinto di rosso sangue le acque italiane. Complessivamente, secondo i dati del blog Fortress Europe, sarebbero più di settemila le persone morte e disperse nel Canale di Sicilia approssimativamente dal 1994 al 2013. Con queste premesse, purtroppo, sono numeri destinati ad aumentare. L’Europa fa orecchie da mercante, nel frattempo, e propone di bombardare la Libia (?) per arginare il fenomeno. Come al solito la soluzione è propinata a suon di bombe. Intanto in mare si continua a morire, e l’odio ingiustificato e ingiustificabile italiano contro le vittime del mare ed i migranti non si spegne. Che il festival del grottesco abbia inizio (o continui).

Simone Bellitto

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