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Andiamo via? No, non si può. Aspettiamo Godot

Impressa su un nitido cielo azzurro zoppicante sempre troppo lentamente verso una ritardataria notte, l’Attesa.
Brulla e desolata, la scena del teatro Stabile di Catania, grazie ad una produzione del Teatro Carcano di Milano, si riempie di Tempo.
Tra dolori, fatica, scarpe strette, vestiti malmessi e incontri non troppo graditi, la Vita.

«Sento la responsabilità, il peso e l’emozione – racconta il regista Maurizio Scaparro – di mettere in scena “Aspettando Godot”. Quest’opera mi colpisce anzitutto per le sue radici collegate alla millenaria e senza confini Cultura Europea, che noi stiamo colpevolmente dimenticando. Beckett è certamente tra i primi, nel Novecento, a intuire che, nel mondo attuale, lo spazio per la tragedia si è fatto minimo, entra di nascosto, quasi sotto il velo del gioco, usa toni leggeri e punta talvolta anche al riso».1 ASPETTANDO GODOT - Antonio Salines, Luciano Virgilio, Edoardo Siravo,Enrico Bonavera-foto Andrea Gatopoulos

Se tentare etichette o classificazioni di alcun genere per la più celebre opera di Samuel Beckett è ed è stata per insigni ed illustri critici ardua impresa, molto semplicemente, grazie anche alla bravura di Antonio Salines (Estragone), Luciano Virgilio (Vladimiro), Edoardo Siravo (Pozzo) e Enrico Bonavera (Lucky), quello che salta fuori dai due più monotoni atti della storia del teatro è l’Uomo. Nella sua dimensione di fanciullo spaesato, abitante di una terra che non sente sua. Stordito, dal susseguirsi di avvenimenti così simili tra loro, da confondersi e sovrapporsi. Pazzo, perché “si nasce tutti pazzi” anche se poi “qualcuno ci rimane”. Divertito da semplici e banali gesti che aiutano ad ingannare il tempo che scorre mentre si attende. Ma si attende chi? Godot!

Uno dei personaggi meno personaggio della storia del teatro. Perché Godot, ma chi l’ha mai visto? Cosa ne sanno Gogol e Didi di lui? Proprio nulla, tranne che il suo arrivo, se ci sarà, porterà giovamento e benessere nella nostra vita.

Ma quando? Arrancando verso il secondo atto della tragicommedia meno tradizionale del Novecento, il sipario si apre, quindi, nuovamente su un azzurro fastidioso. Unico tratto distintivo, un albero, il giorno prima (o forse una settimana, un mese, un anno) spoglio e senza vita, il giorno dopo ricolmo di verdi foglie. Segno di speranza? Difficile dirlo, perché, nonostante tutto, il tempo non passa, e gli avvenimenti si ripetono sempre uguali. E se la voglia di andarsene e lo sconforto di aver atteso così lungamente invano sono tanti, purtroppo non si può, perchè “siamo qui per aspettare Godot, o la notte”, nient’altro.

Martina Toscano

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