“La differenza tra il rivoluzionario e il terrorista risiede nella ragione per cui combatte. Per chi sta da una causa giusta e combatte per la libertà e la liberazione della sua terra dagli invasori, i coloni e colonialisti, non può essere chiamato terrorista, altrimenti gli americani nella loro lotta per la liberazione dai colonialisti britannici sarebbero stati terroristi; la resistenza europea contro il nazismo sarebbe stato terrorismo, la lotta dei popoli asiatici, africani e latino-americani sarebbe terrorismo, e molti di voi che sono in questa Assemblea sono stati considerati terroristi.”
Yasser Arafat – Discorso all’assemblea generale delle Nazioni Unite, 30 giugno 1979
QUESTIONI DI “STATO”
La Costituzione Italiana, quel vanto della nostra nazione, principia in questo modo, come (si spera) tutti ben sanno:
Art. 1
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Uno Stato, una Repubblica, fondata sul chiaro riconoscimento dei diritti individuali e collettivi della società umana, pertanto. In quanto tale questo così tanto decantato stato di diritto, questa nazione dovrebbe, secondo questa letterale visione, individuare altre realtà che abbisognano di questo stesso sostrato civile e, di conseguenza, mettere in evidenza la necessità che queste realtà siano riconosciute anch’esse come Stato. Per una mancanza di coerenza e di logica o per una mera questione di convenienze, questa tanto celebrata solidarietà verso altri popoli emarginati, questo senso di vicinanza in alcuni casi cessano di punto in bianco di stare in piedi. Il caso emblematico è quello che riguarda il comportamento, a dir poco, ambiguo che il Governo Italiano ha tenuto nei confronti del riconoscimento dello Stato della Palestina.
Nel 2012, quando l’ONU aveva espresso quel mero contentino di riconoscere lo Stato Palestinese come “osservatore” delle Nazioni Unite, lo Stato Italiano aveva deciso di votare a favore di questa piccola, ma comunque almeno parzialmente significativa, decisione. La decisione dell’allora governo Monti era stata accolta da un tripudio di dissenso da Israele, che ascriveva alla categoria “tradimento” la risoluzione presa dall’establishment italiano. Poco meno di tre anni dopo il festival dell’ambiguità tocca, e vedremo perché, una nuova apoteosi.
STATO DELL’AMBIGUITA’
Il nuovo capitolo di questa saga da piccolo teatro dell’assurdo è scritto ai giorni nostri. In questo inizio del 2015, infatti, lo scacchiere del Medio Oriente (tra gli altri) è più caldo che mai. Alcuni Stati Europei, c’è da ammetterlo, hanno già operato decisioni storiche in tal senso. Svezia, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Belgio hanno già deciso che allo stato Palestinese spetti una forma di riconoscimento come entità nazionale. L’Italia, come di consueto quando si tratta di decisioni importanti, ha deciso di fare la voce fuori dal coro. Il Governo Renzi, infatti, ha messo in atto una manovra che farebbe invidie alle ambigue manovre di palazzo architettate in mezzo secolo di Democrazia Cristiana. Un capolavoro in questo senso, va ammesso: una doppia mozione le cui componenti sono in consistente contraddizione. Se il primo emendamento, di marca PD, è una sorta di dichiarazione di riconoscimento velato, soft, con tutte le intenzioni di non essere quello che si dichiara, il secondo, targato NCD (perlomeno con più sincerità) vira in senso opposto, promuovendo soltanto “la tempestiva ripresa del negoziato diretto” e “la promozione di un’intesa politica fra le due parti”.
Nell’atmosfera di concordia e di giubilo che ha fatto seguito alla decisione c’è tutta l’aria di una beffa che ferisce nel profondo. Una decisione contraddittoria che ricorda vagamente il bipensiero di orwelliana memoria: due parti politiche che giocano a Risiko, sulla pelle dei Palestinesi, con un documento che per metà accetta e metà diniega lo stato delle cose.
Lo sberleffo è grave perché, come abbiamo sottolineato già prima, lo Stato di Palestina vive in una sorta di prigione di vetro, una schiavitù sotto la luce del sole, un’occupazione che ha del grottesco. La delegittimazione e la retorica nata attorno alla locuzione “due popoli, due stati” ha messo sempre più in evidenza un Parlamento in mano a unioni trasformiste che sembrano nate dalla mente di Agostino Depretis e ad opposizioni che alla contestazione vuota e fine a se stessa hanno issato un vessillo. Il Governo Italiano, pertanto, ha dimostrato che su certe questioni le deliberazioni per l’ennesima volta sono figlie dello stesso errore: la cecità di chi non vuol vedere.
Simone Bellitto
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