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Scicli, avamposto della nuova accoglienza

Quando andiamo a visitare il centro di accoglienza di Scicli – la Casa delle Culture – è la vigilia di capodanno e nell’aria si assapora la classica sensazione delle feste comandate. Insieme a noi c’è anche Sebastiano, giornalista di Generazione Zero.
Descritta da Elio Vittorini come la più bella di tutte le città del mondo nel suo “Le Città del Mondo”, ed insignita del titolo di “patrimonio dell’umanità” da parte dell’UNESCO, Scicli ha le forme tipiche delle cittadine del sud-est siciliano, con le stradine tortuose, gli edifici barocchi e il clima amichevole pure d’inverno.
Negli ultimi anni il comune ibleo è stato al centro di uno scandalo sulla raccolta dei rifiuti urbani, che ha gettato delle pesanti ombre sull’ex sindaco Francesco Susino, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa dalla DDA di Catania. Nel 1993 il consiglio comunale era stato sciolto per mafia, ma nel 1994 una sentenza del Tar dichiarava illegittimo il provvedimento. Saviano non se ne accorse e incluse Scicli nell’elenco dei comuni sciolti per mafia durante una puntata di ‘Che tempo che fa’ del 2012, suscitando la reazione di Susino, che ottenne una pronta rettifica: Fazio fu allora invitato “a trascorrere una vacanza in città, per scoprire i suoi tesori d’arte e l’alto senso di legalità che vi regna”.

Arriviamo a Scicli che è già buio. Le luci di Natale ci accompagnano lungo il tragitto, mentre attraversiamo corso Mazzini, dove ha sede la Casa delle Culture. A vederlo da fuori, il centro, che è gestito dalla comunità metodista cittadina, si presenta come un bell’edificio, colorato e con larghe vetrate.IMG_5142

Se fossimo passati da qui poche settimane prima, però, avremmo visto le saracinesche all’ingresso imbrattate da scritte inneggianti alla chiusura dello stabile. A fine ottobre, infatti, a pochi giorni dall’inaugurazione, la struttura è stata presa di mira da un vile attacco di matrice neofascista, all’ombra del quale si celano i risentimenti di una sparuta fetta della popolazione sciclitana, avversa all’idea di un centro d’accoglienza nel cuore della città.

Entriamo dentro. Ad accoglierci, nell’ampio salone d’ingresso, è Giovannella Scifo, responsabile del progetto. Facciamo le presentazioni in un angolo del salone, ma l’euforia generale dei ragazzi ospiti della Casa, che nel frattempo stanno preparando gli addobbi per la festa di fine anno dell’indomani, ci costringe a spostarci in una sala più appartata. Un vivace ragazzino dalla carnagione bianca e dai tratti mediorientali, con addosso una felpa beige, ci corre dietro per gioco.

Ci sediamo. Il primo argomento di cui parliamo non può che essere l’intimidazione fascista: “C’è il fatto che alcune persone non abbiano mai amato l’idea di un centro d’accoglienza nel cuore di Scicli -racconta Giovannella- e così a novembre sono comparse le scritte sulle serrande fuori dal centro. Di fatto, comunque, abbiamo vissuto meglio del previsto questa cosa, anche perché la dimostrazione di solidarietà da parte della cittadinanza è stata piuttosto forte.” E continua: “Forse una cosa che alcuni nostri concittadini non hanno ancora capito è che dietro al nostro centro non ci sono soldi pubblici. Noi non siamo uno SPRAR, è la Chiesa valdese e metodista che ci sostiene.” Chiediamo a Giovannella come sia nato il progetto: “La Federazione delle Chiese evangeliche d’Italia, che raccoglie larga parte delle confessioni evangeliche italiane, ha proposto il progetto, quindi si tratta a tutti gli effetti di un piano nazionale -spiega Giovannella- dopodiché la Chiesa valdese e metodista, che pure fa parte della stessa Federazione, ha deciso di finanziare il progetto attraverso l’otto per mille. Siccome la Chiesa valdese e metodista non investe per la propria cura religiosa, i ricavi dell’otto per mille raccolti vengono interamente destinati alle opere sociali sia in Italia che all’estero. Il progetto presentato dalla Federazione si chiama ‘Mediterranean Hope‘ ed è diviso in due azioni: una consiste in un osservatorio sulla migrazione a Lampedusa, l’altra è appunto la Casa delle Culture di Scicli.”

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Chiediamo a Giovannella in cosa consista esattamente l’attività della centro: “Credo che l’integrazione non possa passare solamente attraverso l’accoglienza residenziale -afferma Giovannella- ecco perché abbiamo deciso di curare anche l’aspetto culturale. Vogliamo sperimentare uno stile di accoglienza che sia diverso, attraverso la fusione del centro d’accoglienza con il centro culturale. In questo senso potremmo definirci avanguardistiLa nostra attività consiste innanzitutto nel fornire alle persone che vengono al centro un ‘luogo sicuro’ proprio perché il target a cui ci riferiamo sono i minori, le donne incinte, le famiglie: le persone più vulnerabili, insomma. In secondo luogo cerchiamo di integrare nel più breve tempo possibile le persone che stanno al centro, sia attraverso il corso di italiano, sia con le convenzioni stabilite con le scuole di Scicli. In genere, facciamo anche dei colloqui con i ragazzi, per capire quali sono i bisogni e le aspettative di chi abbiamo di fronte.

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Tutti i ragazzi che stanno qua hanno un progetto di vita e noi dobbiamo trovare il modo di realizzarlo. C’è chi vuole fare il rapper, chi vuole giocare al pallone e diventare il nuovo Pelè o semplicemente chi vuole andare a Roma per studiare. Sono progetti legittimi e che vanno spronati: se a Roma si trova un centro minori, che magari non sia a Tor Sapienza -sorride ironicamente Giovannella- noi non possiamo far altro che aiutare il ragazzo a trasferirsi.” Sebastiano chiede quante persone siano ospitate al centro: “Avremmo la possibilità di poter accoglierne fino a trenta -spiega Giovannella- ma attualmente le persone che abitano qui sono diciotto: quattordici minori, tre adulti e una bambina di appena quindici giorni. I ragazzi che vivono qua sono quelli che vengono classificati come ‘particolarmente vulnerabili’, ecco perché non vengono lasciati al centro di Pozzallo, dove manca perfino l’acqua calda e le condizioni sono al limite dell’umano.

In genere, questi ragazzi hanno una storia particolarmente dura alle spalle: i siriani, ad esempio, se vengono lasciati da soli diventano violentissimi, proprio per l’esperienza che hanno subito. Al centro c’è soltanto un ragazzino siriano, il più piccolo (il ragazzino con la felpa beige di prima). Alle volte col cellulare ci fa vedere le foto della sua casa in Siria, con la piscina e la villa, e ora ha perso tutto. I suoi genitori, per salvarlo, lo hanno fatto imbarcare a forza, mentre loro sono rimasti là. Due dei tre adulti, poi, marito e moglie, sono nigeriani e sono partiti con la speranza di poter ritrovare il figlio che era stato fatto partire poco tempo prima e che ora si trova in affidamento in una famiglia a Floridia, in provincia di Siracusa. A Floridia, però, non c’è un centro d’accoglienza, quindi fino a quando, la commissione territoriale non darà loro un permesso scritto, non potranno lasciare Scicli e ricongiungersi col figlio.”

Le chiediamo: “Siete comunque voi che curate gli aspetti giuridici e burocratici degli ospiti del centro?” Sì, per forza -spiega Giovannella- però purtroppo non c’è una definizione esatta del nostro modello di centro, anche perché non esiste una legge specifica neanche sugli Sprar, visto che i requisiti sono vari e vaghi. Nella stessa guida ministeriale non c’è nulla di specifico, l’unica cosa che è specifica è che la cucina deve essere a norma di HACCP, che è l’unica norma chiara. Dopodiché ci sono i metri quadrati, ci sono altri parametri, ma sono molto limitati. Noi ci atteniamo alla legge regionale che disciplina i centri ricettivi, gli alberghi e la case di riposo, però non c’è una legge specifica sui centri d’accoglienza, per questo poi si verificano casi gravi come il Cara di Mineo o il centro di Pozzallo.”

Giuseppe Cugnata

Giulio Pitroso

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