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Arctic30 – Cronaca di un dissenso negato

“Tutte le promesse di benessere e tutte le sicurezze date in epoca moderna dalle istituzioni statali nazionali, dai politici e dagli esperti di scienze e tecniche, sono state distrutte. E non c’è più in giro un’istanza che tolga all’uomo le sue nuove paure. Ecco allora che la crisi ecologica ci fa intravedere qualcosa come un senso all’orizzonte, persino la necessità di una politica globale ed ecologica nel nostro agire quotidiano.”

Ulrich Beck

“Pirati” o vandali?

L’accusa è di quelle che suscitano il riso, se non fosse per l’enorme serietà della situazione. Accusare qualcuno di pirateria può far pensare a Jack Sparrow, al capitano Acab, a Long John Silver. Se non fosse che la pirateria del nuovo millennio è qualcosa che, comunque, affligge piuttosto criticamente molte aree delle coste africane. Quando questa pittoresca definizione diventa ridicola? La risposta a questa domanda è data da 30 nomi, 30 attivisti segregati in carcere da quasi due mesi. Oramai soprannominati in modo eloquente gli Arctic30. Il rischio: una condanna a 15 anni di carcere. La vicenda, oramai nota a livello mondiale, è quella che ha duramente colpito nell’animo, ma non nella fierezza, l’associazione ambientalista Greenpeace, da sempre al servizio della difesa dell’ambiente. In Russia, memore a tratti dell’opinabile e rivoltante fermezza sovietica dei gulag staliniani, accade purtroppo anche questo. Due mesi per una trentina di attivisti non violenti tenuti sotto chiave: è questo il responso di una vicenda che ha dell’inconcepibile. Un battello, battente bandiera olandese, pieno di attivisti che hanno semplicemente, non nell’opinione russa, protestato in maniera civile contro le deleterie trivellazioni della Gazprom, famigerata public company russa estrattrice di gas naturale, nel circolo polare artico. Poi la correzione: non pirati, ma “vandali”. Cambia qualcosa? Soltanto la pena, che diventa più lieve: solo 7 anni di carcere. Intanto 29 ragazzi, impegnati socialmente e totalmente pacifici, rischiano di consumare parte della propria esistenza a guardare la vita da dietro una grata di ferro.  

D’Alessandro, simbolo tricolore della causa

È un po’ triste costatare come, talora, si usino due pesi e due misure. Il governo italiano che ha speso molte parole per la scarcerazione dei due marò indiani, ne ha spese molto meno per uno di questi ragazzi sfortunati, un italiano coraggioso imprigionato ingiustamente. Poiché nel mucchio degli incatenati è finito anche un ragazzo di casa nostra, Cristian D’Alessandro, napoletano, 31 anni, laureato in biotecnologie mediche all’Università Federico II di Napoli. Una giovane mente dedita alla difesa del nostro pianeta. Una giovane mente calpestata senza alcun ritegno. Cristian e gli altri attivisti sono prigionieri di un sistema in mano a imprese, multinazionali ed interessi particolari ascrivibili a potenti uomini politici, cui Vladimir Putin è il deus ex machina. Questi sfortunati e vilipesi ragazzi sono da mesi ostaggio di questo sistema e della nuova nomenklatura russa che, ad ogni costo, desidera far pagare caro agli attivisti l’affronto di un dissenso palpabile e deciso. L’opinione pubblica, un passo avanti rispetto a governi troppo assopiti, compreso il nostro, ha fatto sentire con veemenza debordante la sua voce. Numerosi sono stati gli appelli alla liberazione di Cristian e degli altri Arctic30. Anche i genitori dello stesso Cristian hanno fatto un disperato appello al presidente Putin, denunciando le condizioni logoranti cui sono sottoposti questi sorvegliati speciali accostati a dei terroristi internazionali. Il tribunale di San Pietroburgo, intanto, sta esaminando le richieste di detenzione preventiva nei confronti degli ambientalisti. Giungono anche le prime novità sul caso. Ieri  sono stati liberati su cauzione Iekaterina Zasp, medico di bordo, Denis Sinyakov, fotografo, e Andrei Allakhverdov, capo ufficio stampa di Greenpeace Russia. Prorogata di tre mesi, purtroppo, la detenzione preventiva dell’australiano Clive Russell. Oggi arriva anche una buona nuova, fortunatamente. Altri cinque attivisti sono stati liberati su cauzione, e fra loro è presente il nome del nostro conterraneo Cristian, che rivede la luce del giorno non filtrata dalle sbarre dopo un pesante periodo di detenzione. Una boccata d’aria, è proprio il caso di dirlo. Oltre a lui sono stati scarcerati su cauzione anche l’argentino Miguel Orsi, la brasiliana Ana Paula, il neozelandese David Haussman e il polacco Tomasz Dziemianczuk . Tutto ciò rappresenta, a conti fatti, perlomeno un inizio, un barlume fioco di luce in fondo al tunnel. La lunga via, però, su cui si sta inerpicando questa triste vicenda sembra essere sempre più dolorosa. Quando finirà questo calvario? Nessuno lo sa. Intanto, almeno, è stata creata una petizione per la liberazione degli Arctic30. Chi volta il capo e rifiuta di comprendere questa incresciosa situazione, prende parte allo scempio.

Simone Bellitto       

 

 

 

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