Press "Enter" to skip to content

La piazza e il Sultano

Una fitta nube di fumo aleggia ancora sui tetti dei palazzi di Istanbul. Nella città, simbolo degli scontri degli ultimi giorni, si contano centinaia di arresti e di feriti. La protesta, partita il 27 Maggio da piazza Taksim, nucleo sociale della città di Istanbul, era iniziata come una mobilitazione di stampo ambientalista contro lo sradicamento delle centinaia di alberi, che donano ossigeno alla ormai grigia e cementificata metropoli, per far posto ad un nuovo polo economico (l’ennesimo centro commerciale, per intenderci), meta gradita non soltanto ai turisti, ma anche e soprattutto alle grandi imprese edilizie. A partire da venerdì la manifestazione ha preso una nuova connotazione: non più una semplice mobilitazione ambientalista, ma un’enorme protesta, prima cittadina, poi nazionale, che ha assorbito gran parte delle fasce di popolazione, dagli studenti, ai professionisti, fino ad arrivare, addirittura, ad alcuni parlamentari. Le strade di Istanbul e degli altri maggiori centri urbani (Ankara, Smirne) si sono trasformate in campi di battaglia, con i numerosi cori e slogan antigovernativi a fare da sottofondo alle centinaia di arresti, alle centinaia di feriti e perfino ad un paio di decessi.

Il nodo centrale della questione, quindi, non è tanto la distruzione di un parco, come preferiscono fare intendere i media europei, quanto l’introduzione, da parte di Erdoğan, di una politica di stampo islamico-liberista, vista dalle potenze occidentali come l’unico modello perseguibile in medio-oriente, ma che in realtà tende a prendere solamente i lati più autoritari, sia della sharia (la legge coranica), sia del modello economico liberista. Infatti, se è vero che il PIL turco è cresciuto con una rapidità non indifferente, è anche vero che il tessuto sociale turco, già altamente frammentato, ne è uscito ancora più indebolito. La protesta risulta essere qualcosa di diverso sia dalla mera diatriba laico-islamista, che dalla polemica in campo strettamente politico, in quanto, tra le frange dell’opposizione al partito conservatore di Erdoğan , si contano sia i marxisti-leninisti e le minoranze curde, sia i socialdemocratici del Partito Popolare Repubblicano, sia i nazionalisti dell’estrema destra. Al malcontento generato dalla linea politico-sociale va aggiunto anche quello derivante dall’estrema presa di posizione autoritaria del Sultano turco, il quale ha decimato i membri d’alto rango dell’esercito, (un generale su cinque è stato spedito in carcere) col pretesto di un colpo di stato sventato. L’esercito turco è stato da sempre considerato sostenitore della laicità dello Stato e la sua epurazione non ha fatto altro che fomentare l’opposizione fino ad arrivare agli scontri accaduti nelle scorse ore.

 

Giuseppe Cugnata

Be First to Comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *