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La Rivoluzione Cittadina di Correa

Fino a che la povertà non sarà cancellata dalla Patria Grande. Per questa seconda indipendenza lottiamo ed avanziamo”.

Queste le prime parole pronunciate da Rafael Correa, il 24 Maggio scorso, subito dopo la cerimonia di giuramento per il nuovo mandato presidenziale iniziato il 17 Febbraio, con la netta vittoria dello schieramento socialista (più del 57 %), contro il 22% dello sfidante di destra. Eletto per la prima volta Presidente nel 2006, Correa rimarrà in carica, come stabilito dalla nuova Costituzione del 2009, per la terza e ultima volta, fino al 2017. Il programma politico dei prossimi quattro anni è già stato messo in luce proprio durante il discorso seguente la cerimonia. Una tra le prime manovre che il Governo si appresterà a varare, con il voto favorevole di 100 deputati, su 137 seggi disponibili all’Assemblea Nazionale, è una legge per la gestione dei mezzi di comunicazione che Correa ha giustificato, affermando come “nella nostra America non si tollerano più le dittature e per questo sono stati ideati mezzi più sottili per continuare ad opprimere i nostri popoli” e ancora che “se i media diffamano un Presidente è libertà di stampa, ma se un Presidente risponde allora è repressione”. Altra spinosa questione che il Governo dovrà risolvere è la cessione forzata dei tre milioni di ettari di foresta amazzonica alle imprese petrolifere cinesi. Durante il processo di rinnovamento del Paese, l’Ecuador ha accumulato debiti nei confronti delle casse cinesi, per diversi miliardi di dollari. La pretesa di cessione di un’area così vasta stona sensibilmente con i progetti per lo sviluppo di giustizia sociale ed integrazione in favore delle numerose etnie indigene, che abitano il Paese, ma va sottolineato come Correa stesso avesse dato alla Comunità Internazionale la ricetta per evitare il disboscamento della foresta amazzonica ecuadoregna, ricetta, ovviamente, mai presa in considerazione.

Al di là dei problemi economici, mai sorprendenti quando si parla di un Paese rinnovato completamente nel giro di pochissimi anni, il Governo Correa è stato sempre fedele alle promesse mantenute in campagna elettorale, e le 9 vittorie ottenute in appena sette anni testimoniano quanto il popolo gradisca le scelte politiche del leader socialista. Con un’economia cresciuta del 4.3 % e un tasso di povertà passato da 16.9% a 11.2%, l’Ecuador rappresenta uno tra i vari esempi di funzionamento del modello di “Socialismo del XXI secolo”. Alle varie carenze sociali e culturali Correa ha risposto con la costruzione di ospedali e scuole, prelevando il denaro utile a tali opere dalle multinazionali petrolifere che, come afferma lo stesso Correa “prima del mio Governo, su 100 barili di petrolio se ne prendevano 82 e ce ne lasciavano 18”. Ma l’ambito in cui la mano dell’economista si è fatta sentire maggiormente è, senz’altro, quello finanziario. Una delle prime mosse del primo mandato di Governo, è stata la creazione di una commissione che esaminasse il debito estero ecuadoregno, accumulatosi negli anni ’70, nei confronti del FMI. Dall’inchiesta della commissione si è scoperto come il debito estero avrebbe potuto essere estinto agli inizi degli anni ’90 e come la proposta venne bocciata unilateralmente dall’Ecuador, cosicché Correa ha dovuto “denunciare il debito come illegittimo, dicendo che non avrebbe mai pagato. In questo modo si è ridotto il valore dei relativi buoni, e lo Stato ha potuto ricomprare il suo debito per un terzo del suo valore”. Grazie a questa manovra l’Ecuador è riuscito ad allentare la soffocante morsa finanziaria dei poteri burocratici, Fondo Monetario in primis: chissà perché un’idea del genere gli statisti europei non l’abbiano mai avuta.

 

Giuseppe Cugnata

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